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10 Aprile 2020 - 9:09
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Riceviamo e cortesemente pubblichiamo l’intervento dell’avvocato Francesco Palumbo, penalista del Foro di Salerno.

di Francesco Palumbo

Con il decreto IO RESTO A CASA divenuto anche un hashtag cosi popolare sui social
network
si giustifica la possibilità di uscire dalla propria abitazione solo in casi specifici (lavoro, salute, necessità esempio fare la spesa). Quindi, il governo, oltre che fare appello al buon senso civico dei consociati ed alla loro inclinazione ad un reciproco approccio collaborativo, non si è dispensato a far ricorso all’efficacia deterrente del diritto penale prima e amministrativo poi al fine di contenere l’attuale espansione infettiva ed a prevenirne l’ulteriore diffusione.

I decreti susseguiti in questi mesi hanno varato una serie di regole di comportamento da osservare scrupolosamente per arginare il contagio. A seguito delle necessarie e progressive restrizioni alla libertà di assembramento di cui all’articolo 17 Costituzione e alla libertà di circolazione e soggiorno di cui all’art. 16 Costituzione, in questi giorni il governo ha iniziato a perseguire l’obiettivo del contenimento dell’epidemia “Coronavirus” con provvedimenti limitativi anche del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali. È opportuno valutare il difficile bilanciamento tra la salute pubblica e il diritto alla riservatezza, in protezione dei dati personali alla luce delle indicazioni fornite dall’European Data Protection Board.

Salute pubblica e diritto alla riservatezza: il difficile bilanciamento

Il principio della proporzionalità deve ispirare le Autorità Nazionali nel complesso contemperamento tra la salute pubblica e le altre libertà fondamentali. Il provvedimento 3 del 23 marzo 2020 con cui l’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile), nell’ottica di garantire il contenimento dell’emergenza epidemiologica ‘coronavirus’ autorizza in via generalizzata le forze dell’ordine all’utilizzo dei droni per le operazioni di monitoraggio degli spostamenti dei cittadini sul territorio comunale e, dunque, controllare il rispetto delle restrizioni previste dai Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, con la sola necessità di una previa comunicazione di coordinamento alla Torre di controllo del traffico dell’aeroporto limitrofo alla zona interessata dall’impiego del drone.

Emergenza coronavirus e utilizzo dei droni

Si pone, dunque, un problema di bilanciamento tra l’obiettivo perseguito dal provvedimento
dell’ENAC Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (la prevenzione allla salute pubblica) e la tutela del diritto alla riservatezza che il medesimo provvedimento inevitabilmente lede.
In questo bilanciamento, è indiscutibile il carattere prioritario del bene giuridico salute, tutelato dall’art. 32 della Carta costituzionale sia nella dimensione individuale di diritto fondamentale di ogni persona, quanto nella dimensione collettiva di interesse pubblico.

La posizione dell’European data protection

In effetti, sia il Garante per la protezione dei dati personali che l’European data protection
board
(Edpb), hanno recentemente ribadito come le norme e i diritti riconosciuti dal Regolamento UE 2016/679 (Regolamento generale sulla protezione dei dati), sarebbero suscettibili di compressione in presenza di alcune situazioni estreme, qual è certamente la grave emergenza sanitaria in atto.

Il GDPR sull’utilizzo di dati personali legati a misure nazionali eccezionali

Pertanto, il GDPR (Regolamento generale sulla protezione dei dati) riconosce agli Stati membri margini di discrezionalità nell’applicazione della normativa per motivi legati a misure nazionali eccezionali, legittimando i trattamenti di categorie particolari di dati, quando questi siano finalizzati a perseguire motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute, purché siano previste misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato.

Il pericolo di trattamenti abusivi

Inoltre, per minimizzare il pericolo di trattamenti abusivi, sarebbe necessario un ulteriore sforzo legislativo di valutazione e regolamentazione di tutti gli effetti collaterali che derivano da un’acquisizione massiccia di dati relativi alla vita personale dei cittadini, secondo i principi di precauzione e prevenzione, ci si chiede se, le immagini e i dati registrati verranno impiegati per l’individuazione della catena del contagio o anche l’accertamento e punizione delle violazioni nei procedimenti amministrativi e penali; se sono previste informazioni chiare circa le garanzie per prevenire abusi nell’impiego degli strumenti di controllo per finalità diverse da quelle; se è indicato il periodo di conservazione delle immagini e dei dati.

Perciò, con l’ultimo decreto legge n. 19 del 25 marzo il Presidente Conte ha introdotto Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19. Il testo prevede sanzioni più severe per chi esce di casa senza un giustificato motivo e affida maggiori poteri alle Regioni, che potranno, quando e se necessario, emanare ordinanze anche più restrittive dei decreti.

Il quarto modello di autocertificazione con lo spazio per le misure regionali

Nonché un nuovo, quarto modello di autocertificazione, dove è stato inserito anche lo spazio per le misure regionali e di “essere a conoscenza delle misure di contenimento”. Chi esce dovrà quindi specificare di essere a conoscenza delle eventuali ulteriori limitazioni disposte con i provvedimenti del presidente della Regione di partenza e di quelle del presidente della Regione di arrivo.

Il mancato rispetto delle misure di contenimento è punito con una sanzione amministrativa da euro 400 a 3mila euro. Se il mancato rispetto delle misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo. Si può ottenere una riduzione del 30% se si paga nei 30 giorni successivi alla notifica del verbale. In caso di reiterata violazione della stessa disposizione la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima.

Multa e non fermo amministrativo in caso di violazioni in auto del dpcm del 25 marzo

Negli ultimi giorni si era discusso della possibilità che l’esecutivo introducesse anche la possibilità di far scattare il sequestro o fermo amministrativo dei veicoli utilizzati per violare le disposizioni relative al divieto di spostamento. Il presidente Conte ha egli stesso smentito questa ipotesi confermando che, qualora le violazioni siano commesse tramite l’uso di veicoli, scatterà comunque la multa, ma, in tal caso, la sanzione amministrativa potrà essere aumentata fino a un terzo.

Quindi con l’entrata in vigore del nuovo decreto legge, tutte le denunce trasmesse alla Procura costituiranno non più sanzione penale prevista dall’ormai famoso art.650 c.p. ma amministrativa. L’art. 650 c.p. rientra nella macroarea contravvenzionale di cui i reati si dividono, delitti e contravvenzioni appunto, per la quale sono possibili riti alternativi per l’estinzione del reato a fronte di un pagamento irrisorio di una somma di denaro.

Diversamente, come è più che verosimile, i procedimenti avviati con l’attività di accertamento, in atto, su tutto il territorio nazionale, con smisurato impiego delle forze dell’ordine, sarebbero stati conclusi con una eventuale prescrizione del reato, morti nei cassetti delle procure italiane, già carichi di fascicoli.

Cosa che con il nuovo Dpcm non è più possibile. Una ulteriore questione riguarda i comportamenti posti in essere prima del decreto legge 25 marzo 2020 n. 19 sul Coronavirus, vale a dire quando la sanzione rientravano nell’ambito del d. penale ex art 650 cp. Le nuove disposizioni sostituiscono le sanzioni penali con sanzioni amministrative e si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà.

Le conseguenze penali in caso di falsa dichiarazione

Restano salve la possibilità di incorrere in altre fattispecie penali dichiarando il falso in relazione all’autocertificazione: si incorrerà nella fattispecie di reato di cui all’art. 495 c.p. (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri). Ebbene, tale figura di reato prevede quale pena una sanzione che va da un minimo di 1 anno di reclusione ad un massimo di 6 anni di reclusione.

Quando le fase dichiarazioni, non riguardano le qualità personali, ma “fatti” dei quali l’atto è destinato a provare la verità, si può incorrere nell’art. 483 c.p.:(Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) punito con la reclusione fino a 2 anni.

Francesco Palumbo

Tutto questo naturalmente sempre dopo tutte le fasi processuali necessarie per arrivare ad una sentenza di condanna o naturalmente di assoluzione pronunciata da un giudice. Ebbene, qualora venisse provata la penale responsabilità dell’imputato le possibili conseguenze sul piano sanzionatorio sarebbero svariate. Come sono svariate le strategie difensive.

La posizione potrebbe aggravarsi nel caso in cui, non solo siete fuori dall’abitazione senza un valido motivo, ma per giunta siete stati dichiarati positivi al tampone o vi trovate in quarantena.In questo caso, le fattispecie di reato che potrebbero realizzarsi sono diverse e più gravi. Nella Direttiva ai prefetti per l’attuazione dei controlli emanata dal Ministro dell’Interno, si richiama l’art. 452 c.p. “Delitti colposi contro la salute pubblica”, che prevede la reclusione da 1 a 12 anni.

Il reato di epidemia

O addirittura, per il più grave reato previsto dall’art. 438 c.p. (epidemia) che prevede la pena dell’ergastolo! Ma queste sono fattispecie di reato richiedono un approfondimento più dettagliato sia sul piano probatorio naturalmente sempre nel corso di un processo equo ed imparziale nonché della sussistenza dell’elemento psicologico del reato e dell’eventuale sussistenza del nesso di casualità tra condotta ed evento.

Quindi fattispecie di reato che a mio modesto avviso non possano essere valutate e provate in maniera semplificativa in mancanza della prova sicura che la violazione della quarantena abbia cagionato o maggiormente diffuso l’epidemia verso una apprezzabile quantità di soggetti terzi.


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