Gemona, il racconto agghiacciante di Lorena Venier
«L’ho sezionato da sola». È una frase che pesa come un macigno quella pronunciata da Lorena Venier, 61 anni, infermiera in pensione, durante l’interrogatorio davanti agli inquirenti. La donna ha ricostruito in modo agghiacciante quanto accaduto la notte del 25 luglio, nella villetta dove viveva con il figlio Alessandro Venier, 35 anni, e la sua compagna Mailyn Castro Monsalvo, colombiana di 29 anni.
Il piano omicida: sedazione e strangolamento
Secondo la sua confessione, Lorena e la nuora avrebbero agito insieme. Dopo aver sedato Alessandro con un mix di sostanze stordenti, avrebbero tentato di soffocarlo a mani nude. Non riuscendoci, sono passate a metodi più crudi: lo hanno strangolato con le stringhe degli scarponi. È stata Mailyn, secondo Lorena, a dare il colpo di grazia.
La “fase due”: sezionamento e occultamento
Poche ore dopo l’omicidio, Lorena si è messa all’opera. Da sola, con calma inquietante, ha sezionato il cadavere in tre parti, utilizzando un seghetto e un lenzuolo per assorbire il sangue. «Non ci sono stati schizzi, per questo i carabinieri hanno trovato tutto in ordine», ha detto agli inquirenti. La scena del crimine era la villetta di via del Cristo, dove la donna ha vissuto per decenni con il figlio.
Mailyn, nel frattempo, era nella stanza accanto ad accudire la figlia neonata di sei mesi. Secondo Lorena, è stata la nuora a trasportare i tre pezzi del corpo nell’autorimessa. Lì sono stati infilati in un barile, poi ricoperti di calce viva acquistata online. L’obiettivo: facilitare la decomposizione e cancellare ogni traccia.
Il piano: scomparire nel silenzio
Il progetto criminale prevedeva che Alessandro risultasse partito per la Colombia, da tempo sua terra d’elezione e meta annunciata ad amici e conoscenti. Nessuno avrebbe dovuto preoccuparsi se non si fosse più fatto vedere. «Pensavo che il corpo si sarebbe consumato. Poi lo avrei portato in montagna, dove lui voleva essere sepolto», ha raccontato Lorena.
Una follia lucida, ma traballante
La donna ha insistito sul fatto che non volevano coinvolgere nessuno: «Eravamo certe di poter fare tutto da sole». Tuttavia, a mandare in frantumi il macabro piano è stata proprio la fragilità emotiva di Mailyn, affetta da depressione post-partum.
È stata lei a chiamare il 112, travolta dai sensi di colpa. Nella telefonata, con voce tremante e un italiano incerto, ha detto: «Mia suocera ha ucciso il figlio». Pochi istanti dopo, si sente un litigio in sottofondo: «No, Lorena, no», urla una voce femminile. I carabinieri, che hanno ascoltato anche il pianto della neonata in sottofondo, hanno capito che la situazione era critica e hanno inviato immediatamente una pattuglia.
Il blitz e la scoperta
All’arrivo dei militari, Lorena ha tentato di minimizzare, ma la nuora è crollata: li ha condotti al garage, indicando il barile. Dentro, i resti del corpo di Alessandro.
I carabinieri hanno poi rilevato segni di violenza sulle braccia di Mailyn, compatibili con un possibile tentativo della suocera di strapparle il telefono durante la chiamata di emergenza.
Le indagini e la perizia psichiatrica
Il racconto, che ricorda i contorni di una serie tv thriller, ha spinto il legale di Lorena Venier a chiedere una perizia psichiatrica. Al momento, entrambe le donne sono indagate per omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere.
Mailyn è crollata nel carcere di Trieste, mentre Lorena resta lucida, quasi distaccata: «Mailyn è la figlia che non ho mai avuto», ha detto agli inquirenti. Un legame affettivo e criminale che ha portato a una delle vicende più scioccanti degli ultimi anni in Italia.