A sinistra uno dei fotogrammi che ha incastrato gli aggressori di Stefano CenaA sinistra uno dei fotogrammi che ha incastrato gli aggressori di Stefano Cena

Svolta nell’inchiesta per l’aggressione al 43enne Stefano Cena

Il silenzio di Capena, piccolo centro alle porte di Roma, è stato spezzato dall’eco di una violenza ingiustificabile. Stefano Cena, 43 anni, giostraio conosciuto in paese, è morto il 14 ottobre dopo nove giorni di agonia in ospedale. Era stato brutalmente aggredito la sera del 5 ottobre. Ora, la Procura di Tivoli ha disposto l’arresto di tre giovani: due 19enni e un 24enne, tutti italiani. L’accusa è pesantissima: omicidio volontario aggravato in concorso.


Una lite banale che diventa tragedia

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, tutto è iniziato da un gesto apparentemente insignificante. I tre ragazzi, collaboratori del fratello della vittima, sarebbero saliti su una delle giostre gestite da Stefano Cena senza pagare. Un gesto provocatorio, inserito in un contesto di vecchie tensioni familiari.

Nel pomeriggio tra le parti c’era già stato un alterco. Ma è nella serata che la situazione precipita. Vicino all’area del luna park, in via Provinciale, la discussione degenera fino a coinvolgere anche la moglie e il figlio di Stefano.


L’aggressione: circondato, colpito e lasciato a terra

Le indagini dei Carabinieri della Compagnia di Monterotondo, coordinate dalla Procura di Tivoli, hanno ricostruito con precisione l’accaduto grazie a testimonianze, telecamere e tracciamenti telefonici.

Il 43enne sarebbe stato prima circondato da un gruppo di giovani, tra cui i tre arrestati. Colpito a calci e pugni, è riuscito inizialmente a fuggire. Ma quando ha visto la moglie in pericolo, è tornato indietro per difenderla.

È in quel momento che subisce la seconda aggressione, quella fatale. Viene atterrato, colpito ripetutamente al torace e alla testa. Alcuni presenti parlano di “botte disumane”, sferrate anche quando era già a terra, inerme.


Il tentativo di fuga degli aggressori e l’arrivo dei soccorsi

Solo l’intervento dei Carabinieri, chiamati da chi ha assistito alla scena, ha evitato conseguenze peggiori. Gli aggressori avrebbero tentato di inseguire anche il figlio della vittima, minorenne, accorso in aiuto dei genitori. Stefano, in condizioni gravissime, è stato trasportato immediatamente in ospedale.

Dopo nove giorni di ricovero, il suo cuore ha smesso di battere. Il 14 ottobre la sua morte è diventata l’epilogo di una violenza che la comunità di Capena stenta ancora ad accettare.


Le indagini: tecnologie, testimonianze e nuovi sospetti

I militari hanno utilizzato telecamere di videosorveglianza, analisi dei cellulari e rilievi tecnici. Ci sono altri giovani coinvolti non ancora identificati.

Il Gip di Tivoli ha ritenuto “concreto e attuale il pericolo di fuga e di reiterazione del reato”, disponendo per i tre indagati il carcere.


Il paese in lutto: dolore, rabbia e silenzi

Nella piazza principale di Capena, davanti alla chiesa, i fiori deposti dai cittadini parlano più di mille parole. Amici, parenti e conoscenti ricordano Stefano Cena come un uomo mite, un lavoratore instancabile, un padre presente.

“È morto per aver difeso la sua famiglia – sussurra un vicino di casa – e questo non possiamo accettarlo”.

Nel frattempo, la moglie e il figlio, ancora sotto shock, hanno scelto il silenzio. La comunità chiede giustizia, mentre gli avvocati della famiglia attendono che venga fissata l’autopsia per chiarire definitivamente le cause del decesso.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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