Saed con Padre FaltasSaed con Padre Faltas

Saed era uscito dall’inferno di Gaza per curare una grave forma tumorale

Saed era uno dei bambini palestinesi trasferiti dalla Striscia di Gaza in Italia per ricevere cure che nella sua terra d’origine sarebbero state impossibili. Colpito da una forma tumorale gravissima, ha ricevuto le migliori cure possibili al Policlinico Umberto I di Roma, sostenuto dall’amore della madre e dall’impegno del personale sanitario. Questa mattina, però, il piccolo è morto.


La beffa del destino: la morte arriva mentre il padre viene liberato

La vicenda assume contorni ancor più dolorosi perché la morte di Saed è coincisa con la notizia della liberazione — da parte di Israele — di oltre 1.700 detenuti palestinesi, tra cui suo padre. Il bambino non saprà mai che il genitore è tornato libero, e il padre — uscendo dalle prigioni — non era a conoscenza che il figlio era stato portato in Italia per curarsi. I due non avranno più la possibilità di riabbracciarsi.


Le parole di padre Ibrahim Faltas: umanità e sguardo sulla sofferenza

A dare la notizia è stato padre Ibrahim Faltas, direttore delle Scuole di Terra Santa, dalle pagine dell’Osservatore Romano. Padre Faltas ha raccontato le visite a Saed, i giochi condivisi, la forza del bambino e la dedizione dei medici:

“Ho visto i medici e il personale del Policlinico Umberto I prodigarsi in ogni modo per aiutare Saed a guarire… ho sentito la loro umanità che dava cure e affetto al piccolo paziente e alla sua mamma, lontani dall’amore della famiglia rimasta a Gaza”.


Il contesto: i corridoi umanitari e l’impegno italiano

Padre Faltas ha ricordato l’avvio dei trasferimenti sanitari verso l’Italia a partire da gennaio 2024, quando i primi bambini furono accolti a Ciampino. Molti piccoli pazienti hanno potuto accedere a terapie salvavita grazie alla collaborazione fra strutture sanitarie italiane, associazioni e istituzioni. Alcuni sono guariti; altri, come Saed, hanno combattuto fino all’ultimo con il sostegno degli specialisti italiani.


Una storia che riporta alla guerra: distanza, speranza e dolore

La morte di Saed riassume in maniera tragica la contraddizione di questi mesi: mentre si negozia la libertà e si parla di scambi e rilasci, restano le vite private spezzate dalla violenza e dalla mancanza di cure. Il piccolo che attraversò il mare in cerca di vita non ha visto il sollievo che forse la libertà del padre avrebbe potuto simboleggiare.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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