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Sindrome di Sanfilippo, la malattia senza cure e il dramma di mamma Erika: ‘Mio figlio non parla più e fatica a camminare, il suo sorriso è la mia forza’

Mucopolisaccaridosi 3. Si fatica anche a pronunciarlo ma per tanti genitori è diventato un termine tristemente familiare. È la denominazione scientifica di una rara malattia genetica chiamata anche sindrome di Sanfilippo e per la quale non c’è cura. Erika Manzo, originaria di Sala Consilina – in provincia di Salerno – dallo scorso marzo è venuta a conoscenza della sua esistenza dopo una lunga odissea per capire quale male impedisse al figlio di vivere come tutti gli altri bimbi. Per il suo amato Miky, appena 9 anni, è arrivata la peggiore delle diagnosi. Il mondo le è crollato addosso ma, con gli occhi gonfi di lacrime, ha trovato la forza per rialzarsi. Energia trasmessa da un figlio che ha bisogno del sostegno della madre per affrontare il doloroso percorso.

Miky lotta con coraggio e con il sorriso contro la Mucopolisaccaridosi 3

Erika Manzo racconta la sua esperienza di madre di bambino malato di Mucopolisaccaridosi 3

Erika si è rimboccata le maniche, si è documentata, ha cercato risposte ed ha conosciuto genitori che stanno vivendo il suo dramma. La Sanfilippo fighters del presidente Katia Moletta è diventata un punto di riferimento e Marianna Bruno un’amica preziosa con la quale condividere attimi di scoramento, paure ma anche la speranza che il loro impegno possa un giorno essere utile a chi si ritroverà ad affrontare l’incubo della mucopolisaccaridosi 3.

Miky è nato apparentemente sano. Un bimbo pieno di vita e molto precoce che ha iniziato a parlare prestissimo. Dopo un anno di vita non aveva bisogno del pannolino” – spiega Erika Manzo. “All’età di tre anni è cominciato il declino tra iperattività, problemi comportamentali e scatti di rabbia. Segnali che mi hanno portato a pensare che qualcosa non andava. Ha messo nuovamente il pannolino ed ha iniziato ad avere difficoltà nel parlare”.

L’odissea del piccolo Miky prima della terribile diagnosi dei medici dell’ospedale La Sapienza

Per la giovane madre è iniziato un lungo e tormentato percorso. “Nonostante tutto era ancora abbastanza autonomo tant’è che giocava a calcio ed era il più piccolino, la mascotte della squadra”. I problemi c’erano ma, nonostante i continui accertamenti, Erika faticava a trovare le risposte. “Iniziammo a fare visite su visite dal neuropsichiatra ma non avevo nessun riscontro. Per loro era un semplice disturbo comportamentale e spesso mi è stato detto che era solo viziato”. Parole che a distanza di tempo fanno crescere il senso di rabbia.

“Nonostante logopedia e psicomotricità le cose non cambiavano, anzi peggioravano e così dal disturbo comportamentale siamo passati al leggero ritardo psicomotorio fino ad arrivare ad una diagnosi di autismo”. La svolta arriva dopo un lungo pellegrinaggio tra ospedali e specialisti. “A La Sapienza di Roma appena visitarono mio figlio mi dissero che si trattava di una malattia metabolica. Dopo 6 anni non mi sentivo più stupida a parlare dei problemi di Miky, anzi finalmente ero capita ed ascoltata come se loro già sapessero tutto”. Dopo mesi di indagini ed analisi particolari il 2 marzo 2021, in emergenza Covid, Erika viene contattata per i risultati degli accertamenti.

‘È una malattia neurodegenerativa, non c’è nessuna cura e mio figlio è troppo grande per quelle sperimentali’

Ricordo il triste sguardo del dottore che, con le lacrime agli occhi, mi disse che si trattava della malattia della quale sospettavamo dopo il primo impatto con mio figlio: Mucopolisaccaridosi di tipo 3A. Per me erano parole incomprensibili, quasi uno scioglilingua. Con un filo di voce chiesi se esistesse una cura”. La risposta fu quella che nessun genitore vorrebbe ascoltare. “Il dottore abbassò la testa e mi disse che non esisteva nessuna cura trattandosi di malattia rara neurodegenerativa”. Per Miky non c’era la possibilità neanche di aggrapparsi a terapia sperimentali. “Troppo grande per poterle affrontare”.

L’impronunciabile nome della malattia rara rimbombava nella testa di Erika. “Passai ore a piangere facendomi mille domande ma senza ottenere nessuna risposta. Una volta arrivata a casa la prima cosa che feci fu cercare su Facebook qualcuno che parlasse la mia ‘stessa lingua’ e trovai subito Sanfilippo fighters. Notai che Marianna era il fan più attivo la contattai immediatamente. Mi spiegò con parole semplici ciò che avrei dovuto affrontare”. Da quel giorno i contatti sono diventati quotidiani. ”I Sanfilippo fighters sono una famiglia, Marianna la sento praticamente tutti i giorni. Ridiamo e piangiamo insieme, ci diamo forza a vicenda”.

Erika Manzo con la grande famiglia dei Sanfilippo Fighter di Katia Moletta

L’impegno dei Sanfilippo Fighters per stimolare la ricerca sulla malattia rara

Ma è soprattutto il coraggio che Miky dimostra giorno dopo giorno nell’affrontare la malattia a rivitalizzare Erika Manzo. “Lui lotta con il sorriso, è un vero guerriero. Spesso mi sento dire che non devo crollare perché lui ha bisogno di me, ma non è così: sono io ad aver bisogno di lui perché nei momenti bui lo vedo ridere e quei suoi occhioni pieni di vita mi trasmettono la forza per andare avanti nonostante tutto”.

Miky non parla più e sempre più spesso si ritrova a dover appoggiarsi sulla sua sediolina verde fluo perché le gambe non sempre lo sorreggono. Lui non molla, stringe i denti ed appena ritrova le energie prova a correre più forte che può, quasi a voler fuggire da quel triste destino che gli ha strappato il futuro ma non l’entusiasmo di un bambino che avrebbe voluto vivere con la spensieratezza dei suoi coetanei. “Nonostante tutto lui è ancora pieno di vita. È una potenza, un uragano che riesce ad entrare nel cuore di tutti. Miky è vita, gioia e coraggio. Una potenza nonostante la Sanfilippo cerchi di spegnerlo”.

Cos’è la sindrome di Sanfilippo

La mucopolisaccaridosi 3 (chiamata anche sindrome di Sanfilippo) è una rara malattia genetica caratterizzata da ritardo motorio e cognitivo, neurodegenerazione, disturbi del comportamento. È causata dall’accumulo nei lisosomi (organuli cellulari deputati alla degradazione di varie molecole) di una sostanza appartenente al gruppo dei glicosaminoglicani: l’eparansolfato. Questo accumulo danneggia le cellule del sistema nervoso centrale. A seconda del gene coinvolto ne esistono 4 diversi sottotipi (A, B, C, D), molto simili dal punto di vista clinico anche se gravità della malattia e velocità di progressione possono variare leggermente.

I sottotipi e il decorso della malattia

La mucopolisaccaridosi 3 comporta un grave e rapido deterioramento mentale. I primi sintomi compaiono tra i 2 e i 4 anni di vita, con disturbi del comportamento (ipercinesia, aggressività), disturbi del sonno, deterioramento mentale e lievissimi dismorfismi. Intorno ai 10 anni si ha in genere la perdita delle capacità motorie e problemi di comunicazione, mentre in seguito possono verificarsi convulsioni. Alcuni pazienti, però, mostrano forme attenuate della malattia. La prognosi è sfavorevole; la maggior parte dei pazienti muore prima dei 40 anni.

Giuseppe D'Alto
Giuseppe D'Alto
Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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