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Il caso Anna Siena e la richiesta della Procura

La Procura di Napoli ha chiesto due anni di reclusione per il medico finito sotto processo con l’accusa di omicidio in relazione alla morte di Anna Siena, la donna di 36 anni deceduta tre giorni dopo essere stata visitata al Pronto Soccorso dell’ospedale Vecchio Pellegrini di Napoli.

La richiesta arriva al termine dell’istruttoria che ha ricostruito una vicenda sanitaria e giudiziaria complessa, iniziata nel 2019, quando Anna Siena si presentò in ospedale con forti dolori addominali. Dopo la visita, fu dimessa con una diagnosi di lombosciatalgia e una prescrizione di soli antidolorifici.

Tre giorni dopo, Anna Siena smise di respirare.


La gravidanza ignota

Secondo quanto emerso nel corso del processo, la 36enne non sapeva di essere incinta. Un elemento centrale dell’inchiesta è proprio questo: i sanitari non si sarebbero accorti che nel grembo della donna era presente un feto già morto.

L’autopsia ha chiarito che i dolori addominali che avevano spinto Anna Siena a recarsi al Pronto Soccorso non erano riconducibili a una semplice lombosciatalgia, ma alle conseguenze della ritenzione di un feto morto in utero, una condizione grave che richiede un intervento medico tempestivo.


“Poteva essere salvata”: il parere del medico legale

Determinante, nel procedimento, è stata la relazione del medico legale, che ha escluso l’inevitabilità del decesso. Secondo quanto riferito in aula, Anna Siena “poteva essere salvata se solo fosse stata visitata a dovere”.

I consulenti del pubblico ministero hanno attribuito la morte della donna a uno shock emorragico conseguente a una sindrome da coagulazione intravascolare disseminata, una complicanza prodotta proprio dalla ritenzione del feto morto.

Se la condizione fosse stata riconosciuta durante l’accesso in ospedale, sarebbe stato possibile intervenire e interrompere il decorso che ha portato al decesso.


La posizione della Procura e l’accusa al medico

Sulla base di queste conclusioni, la Procura di Napoli ha contestato al medico che visitò Anna Siena una condotta omissiva, ritenendo che non siano stati eseguiti gli accertamenti necessari per individuare la reale origine dei dolori lamentati dalla paziente.

La richiesta di condanna a due anni di reclusione riguarda il professionista che, quel giorno, dispose la dimissione della donna limitandosi alla prescrizione di antidolorifici, senza ulteriori approfondimenti diagnostici.


La famiglia e il percorso giudiziario

Nel procedimento giudiziario, i familiari di Anna Siena sono assistiti dagli avvocati Angelo e Sergio Pisani, che hanno seguito l’intero iter processuale, sottolineando come una diagnosi più accurata avrebbe potuto evitare la tragedia.

Il processo si avvia ora verso la fase decisiva: le discussioni delle parti, sia dell’accusa che della difesa, sono fissate per il 12 gennaio, data in cui è attesa anche la sentenza.


Una morte che solleva interrogativi sulla sanità

La vicenda di Anna Siena riporta al centro del dibattito il tema della valutazione clinica nei Pronto Soccorso, soprattutto in presenza di sintomi non specifici ma potenzialmente riconducibili a condizioni gravi.

Un caso che, a distanza di anni, continua a interrogare la giustizia e la sanità su responsabilità, protocolli e prevenzione degli errori diagnostici.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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