Bari, una maestra e un nickname diventato un caso nazionale
Si chiama Daniela Casulli, ha 48 anni, è originaria di Bari e fino a pochi giorni fa era considerata da molti una maestra “sconveniente”, una donna da condannare senza appello. Sul web la conoscevano come Zia Martina, un nickname scelto nel 2014 per tutelare la propria privacy sui social. Un vezzo linguistico locale — a Bari “zia” è un modo informale per rivolgersi agli adulti — diventato presto il simbolo di un caso giudiziario che ha diviso l’opinione pubblica tra indignazione e dubbio.
Condannata in primo grado a sette anni e tre mesi per pornografia minorile e corruzione di minorenne, Casulli è stata assolta in appello: “il fatto non costituisce reato”. Ma il verdetto non ha cancellato le polemiche, né le domande. E ora, davanti alle telecamere de Le Iene, Casulli decide di parlare.
“Per me dai 14 anni è consenso”: la frase che fa esplodere l’Italia
Seduta davanti a Matteo Viviani e Riccardo Spagnoli, il corpo rigido ma lo sguardo fermo, Casulli pronuncia una frase che pesa più di una sentenza: «Io non mi sento moralmente condannata. Secondo me dai 14 anni una persona può decidere. Lo dice la legge dal 1930». Sottolinea, quasi a difendersi prima ancora di essere attaccata: «Non ho mai avuto contatti con minori di 14 anni. Le persone che incontravo avevano 14, 15, 16 anni».
La sua posizione è cristallina: se la legge lo consente, il giudizio morale dovrebbe fare un passo indietro. Ma è proprio qui che esplode la crepa. Perché la legge richiede prove, mentre la coscienza collettiva pretende coerenza, protezione, indignazione.
Tra tribunale e piazza digitale: assoluzione legale, condanna sociale
La Corte d’Appello l’ha assolta. Nessun reato. Ma sui social — TikTok, Instagram, forum — la sentenza è diversa. Lì, la gente non perdona. Non aspetta i fascicoli giudiziari, non legge le motivazioni della Corte: giudica. Rapidamente, emotivamente. «Non capiscono, giudicano male», afferma Casulli. «Ma io sono tranquilla».
La sua tranquillità, però, non basta a placare le domande che attraversano l’Italia. Può un insegnante intrattenere relazioni affettive con adolescenti che, per la legge, hanno l’età del consenso? È solo una questione giuridica o c’è qualcosa di più profondo, legato al ruolo educativo, alla fiducia, alla responsabilità verso chi è ancora fragile?
Il lato nascosto: social, identità e un alter ego chiamato “Martina”
Casulli racconta di aver usato il nome “Martina” sui social per proteggersi dai giudizi legati al fisico, all’età, al lavoro. «Non volevo essere giudicata per fattori esterni», spiega. Ma quell’identità digitale, nata per libertà, è diventata una gabbia. In quella veste, racconta, avrebbe intrattenuto conversazioni intime con adolescenti, sempre — sostiene — “consapevoli e consenzienti”.
E qui affiora la zona grigia. Quella in cui la legge consente, ma l’etica trema. Dove l’adulto è libero, ma l’adolescente è influenzabile. Una terra di confine che né il tribunale né i social possono definire fino in fondo.

