Rexal FordRexal Ford ovvero Francis Kaufmann, si faceva chiamare anche Matteo Capozzi

La sorella di Kaufmann: “Era solo questione di tempo”

«Pregavamo che non le uccidesse, sapevamo che lo avrebbe fatto». Penelope Kaufmann, sorella di Francis Charles Kaufmann, rompe il silenzio e, in un’intervista a la Repubblica, traccia un ritratto inquietante dell’uomo accusato del duplice omicidio di Villa Pamphili, a Roma, dove lo scorso 7 giugno sono stati trovati i corpi senza vita di Anastasia Trofimova e della figlia Andromeda, di soli 11 mesi.

Secondo Penelope, Francis – conosciuto anche con le identità fittizie di Rexal Ford e Matteo Capozzi – «ha sempre avuto lo charme del diavolo, ma è uno psicopatico». Violento, manipolatore, capace di incantare, ma pronto a trasformarsi in un mostro «quando beve o si droga».


Il passato oscuro di Kaufmann e l’incubo della famiglia

Nato negli Stati Uniti ma spesso in fuga, Francis Kaufmann aveva già aggredito il fratello, costringendolo a fuggire per salvarsi. «Se fosse tornato in America avrebbe ucciso tutti noi», rivela Penelope. «Eravamo terrorizzati da Charlie, ci ha regalato i giorni peggiori della nostra vita».

L’uomo, laureato in produzione cinematografica, non era però un vero regista: «Ha partecipato a qualche B-movie, ma non ha mai firmato un film importante. Sapeva solo come muoversi in quell’ambiente». Un carisma da venditore di fumo, racconta la sorella, «capace di venderti persino i tuoi stessi vestiti».


Il giorno dell’aggressione a Roma: un segnale ignorato

Un’informativa dei carabinieri ricostruisce un episodio cruciale avvenuto il 3 giugno, quattro giorni prima della scoperta dei cadaveri. Francis Kaufmann fu vittima di un’aggressione in pieno centro a Roma, in piazza San Silvestro, mentre si trovava allo Starbucks con Anastasia e la piccola Andromeda.

Il titolare del locale racconta di averlo visto sanguinante a terra, con un cerotto già in testa. Dopo l’episodio, Kaufmann si allontanò con compagna e figlia, senza attendere i soccorsi. Le due erano ancora vive. Un’occasione mancata, forse, per impedire la tragedia.


“Che Dio lo abbandoni”: la condanna morale della sorella

«Non voglio vederlo mai più. Io ero la sua migliore amica, ma ha oltrepassato ogni limite. Mio fratello è un mostro», conclude Penelope. Le sue parole suonano come una sentenza morale ancor prima che giudiziaria. In Grecia, dove Kaufmann è detenuto, si attende ora l’estradizione, a cui si è opposto.

La famiglia della vittima, intanto, resta aggrappata alla speranza che giustizia sia fatta. «Chiediamo scusa all’Italia e alla famiglia di Anastasia», dice Penelope con voce rotta, «ma vi assicuro che le ha coinvolte entrambe lui».

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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