Davide FasanoDavide Fasano

di Davide Fasano

Il senso di isolamento negli ambienti di lavoro

Negli ambienti di lavoro nell’oggi, si vive in uno stato di isolamento sostanziale, stress e super lavoro e quant’altro. Negli uffici a detta degli operatori si respira un’aria tossica e pesante, ogni addetto è solo con il computer, non parla né si relaziona con i colleghi intento a svolgere il proprio lavoro. In una siffatta realtà diventa difficile coniugare e praticare le relazioni sociali che sono il sale per vivere in un ambiente sereno e qualificante.

Un nuovo umanesimo che valorizzi il lavoratore

Sono queste, due istantanee che fotografano in modo esaustivo nonché esemplare la realtà quotidiana delle nostre imprese o similarmente nella Pubblica Amministrazione. Gli operatori cosi descritti, possono essere paragonati a tanti robot meccanici che creati dall’intelligenza artificiale del nostro modernismo scientifico, si aggirano per i corridoi illuminati sì ma assenti alle necessità essenziali di cui anche i robot a nostro avviso avrebbero bisogno.

Che fare? Come mutare rotta a tutto tondo? Non è facile dare risposte concrete a queste domande che interrogano la coscienza civile; di certo bisogna dar vita e riscoprire un nuovo umanesimo che crei le condizioni in modo da far respirare un’aria nuova che abbia il crisma di riportare serenità, ed allegria, nei posti di lavoro, il tutto condito, da un’armonia e una concordia che restituisca un clima di fiducia e collaborazione reciproca.

Alcuni studi in merito parlano che bisogna ripensare ad una nuova PAIDEA che punti ad un nuovo umanesimo, mettendo al centro di ogni programmazione economica, il lavoratore, nonché creare una mentalità che abbia per centro la dignità e il lavoro della persona. Il mondo del lavoro, non a caso, negli ultimi anni ha subito, notevoli cambiamenti e si avverte da parte degli imprenditori italiani la necessità di avere personale competente e qualificato in un universo industriale globalizzato.

Chiaramente diventa difficile coniugare lavoro e qualità delle persone. Parlare di lavoro in Italia e non solo è un’urgenza che genera grande preoccupazione. Accanto alla riscoperta di un nuovo umanesimo, bisogna scommettere sui giovani imprenditori: la speranza per un futuro lavorativo che rispetta la persona con i suoi valori. A tal riguardo sui Social imperversa una grande confusione, tanto che vi si legge di tutto:

  • Indignazione;
  • Aspettative;
  • Rivendicazione;
  • Battaglie e richieste di diritti da parte soprattutto delle nuove generazioni e al contempo di lamentele di coloro che sostengono che queste ultime non abbiano voglia di impegnarsi né nello studio né alla ricerca di un’occupazione.

La fuga di giovani talenti all’estero crea una crisi occupazionale

Il paradosso è che a fronte di tanta confusione e a sentir gli imprenditori emerge con forza la denuncia della mancanza di lavoratori soprattutto giovani, perché è noto a tutti e i dati sono impietosi, nel nostro Paese dal 2011 al 2024 oltre 500 mila giovani tra i 18 – 34 anni, forniti di  un’istruzione e competenze medio – alte, hanno lasciato l’Italia, attirati da più allettanti prospettive economiche e di carriera.

Di contro, quelli che restano, corrono il rischio di cadere nella trappola dei Neet, ovvero giovani che non studiano né lavorano, di qui le preoccupazioni legittime dei genitori in ansia per la sorte futura dei figli, combattuti e disorientati tra il richiamo di improbabili master poco edificanti ed offerte lavorative incerte. Spesse volte i giovani per scelte scolastiche non felici non hanno potuto acquisire competenze attualmente spendibili per entrare nei circuiti lavorativi, come richiesto dall’impresa moderna al passo con le innovazioni intervenute nel variegato mondo industriale. Attualmente necessitano, infatti, nuove professionalità per rispondere alla domanda degli industriali.

Alcuni studi recenti confermano il senso di smarrimento che circola tra gli imprenditori, l’Italia, va ricordato risulta essere il secondo Paese, per anziani, al mondo, dove i giovani sono sempre di meno. Una realtà questa che parla con numeri impietosi, perché il nostro Paese negli ultimi anni 15 anni, ha perso quasi 1 milione di giovani, questo significa meno potenzialità imprenditoriali e meno innovazione. La letteratura in una prospettiva di lavoro siffatta porta ad accrescere confusione di percorsi e aspettative che declinano nuovi bisogni e antichi pregiudizi sul lavoro rispettabilissimi, certo, ma che favoriscono la perdita di un bene sempre più raro. 

Favorire un ambiente imprenditoriale creativo e sostenibile

Cosa significhi fare impresa moderna? Quali ostacoli non solo burocratici ma anche di mercato, che vanno affrontati e risolti? Come e perché i nuovi SOCIAL – App – INTERNET, possono essere spendibili in modo positivo e non ultimo come e perché necessita parlare di una cultura del prodotto, piuttosto che di quella del successo ad ogni costo e, che va colto con ogni mezzo pure illecito. 

Di certo non è di facile soluzione trovare la quadra su questa problematica complessa, tanto più che cresce e diventa sempre più diffusa l’insoddisfazione verso le condizioni del lavoro.  È notorio che stipendi poco allettanti, contratti precari, unitamente ad un diverso valore che i giovani danno al lavoro, si traducono in una disaffezione verso il posto, preferendo cambiare lavoro molto spesso e nello stesso tempo a limitarsi a fare l’indispensabile oppure a sommare più lavori.

In un quadro cosi delineato e poco rassicurante parlare d’impresa, soprattutto di quelle giovanili è significativo e porta ad interrogarci tutti. Sempre a far parlare i dati e studi di settore, il numero d’imprese giovanili è in calo e a detta dei giovani imprenditori la causa è da ricercare nell’eccessivo peso burocratico, per un verso e dall’altro per l’assenza di aiuti concreti da parte delle Istituzioni.

Certamente ci sono alcuni esempi e felici eccezioni che fanno ben sperare in un futuro radioso per il nostro Paese. Dal punto di vista imprenditoriale, sia per creatività (vedi l’esperienza nell’industria del cachemire di Brunello Cucinelli, leader nel settore a livello mondiale), solo a citare un esempio per qualità, spirito di sacrificio e di abnegazione, non siamo secondi a nessuno. Su questa strada potranno esserci e concentrarsi nuove opportunità di crescita non solo e non tanto per i millennials, ma anche per l’intero settore lavorativo. Abbiamo bisogno d’imprese che sappiano coniugare artigianalità, sostenibilità e digitale, nell’universo imprenditoriale, solo cosi il futuro è assicurato, non solo in termini di fatturato ma anche di soddisfazione personale.

Ma, per far sì questi desiderata non restino solo aspirazioni teoriche bensì si traducono in concrete realtà, bisogna voltar pagina, far decollare progetti concreti, restituendo entusiasmo dando nuove opportunità ai nostri giovani, desiderosi di mettersi in gioco e scommettere su di loro. Infatti, la nostra biodiversità produttrice ci fa dire che l’insoddisfazione dei giovani per il lavoro o in cerca di progetti creativi, sono ancora molti sia, per realizzare un sogno quanto più semplicemente per mettere in atto progetti ambiziosi.

Sviluppare pratiche aziendali responsabili e sostenibili

Solo cosi l’instabilità e la confusione potranno essere spazzate via e porre rimedio a quello che è stata declinata una vera emergenza che coinvolge tutti. Per guardare ad un futuro di progresso necessita promuovere una nuova cultura del lavoro che ponga al centro di ogni programmazione la persona, il lavoratore nella titolarità dei propri diritti. Ecco perché parlavano all’inizio del nostro intervento e riflessione di un nuovo umanesimo che dia valore e dignità al lavoratore in ogni ambito lavorativo – aziendale. La biodiversità sotto l’aspetto produttivo, la creatività made in Italy, depone a favore e ci fa ben sperare perché i giovani italiani hanno tutte le potenzialità per risultare vincenti, puntare sui giovani imprenditori è la strada da percorrere per un progetto industriale all’avanguardia.  

Detto altrimenti, in un futuro prossimo per fare impresa, nel nostro Paese non possiamo che dar fiducia ai giovani imprenditori, per credere in una nuova era di prosperità, dando così un contributo al progresso non solo dell’Italia in un mondo sempre più connesso e globalizzato. Un altro tassello su cui puntare è la convivialità, ossia lo stare insieme, di contro all’individualismo imperante dell’oggi nelle fabbriche, uffici e in altri ambienti, dove si è perso la trama sociale della convivenza del vivere in modo gioviale.

In questo modo, la scommessa la si potrà vincere e aver ragione del pessimismo serpeggiante, restituendo quella fiducia e quel pensare positivo, eliminando le negatività. Non possiamo non accennare e dar conto dell’importanza della gestione ambientale, di certo non secondaria, tant’è che anche protocollo ISO 14000 identifica una serie di norme tecniche relative alla gestione ambientale, vedi:

  • La riduzione dei rischi;
  • La riduzione dei costi di produzione;
  • Il miglioramento della competitività;
  • La gestione degli aspetti normativi ambientali obbligatori.

La sociologia dell’ambiente

Quindi oltre alla responsabilità sociale e all’umanesimo d’impresa, è utile considerare anche la prospettiva della sociologia dell’ambiente, che evidenzia come le pratiche aziendali influenzino i sistemi naturali e le comunità. Attenzionare questa visione, significa riconoscere che ogni decisione economica si inscrive in un contesto Sociale Ambientale più ampio, contribuendo ad un modello di sviluppo sostenibile e consapevole.

La LCA, (acronimo che sta per Life Cycle Assesment), si propone la valutazione del ciclo di vita, uno strumento utilizzato per analizzare l’impatto ambientale di un prodotto, di un’attività o di un processo lungo tutte le fasi del ciclo di vita, attraverso la quantificazione dell’utilizzo delle risorse: (input come energia, materie prime, acqua) dell’ambiente.

E non ultimo le immissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo associate al sistema in oggetto e la Valutazione da Etichetta Ambientale. Questa è la sfida da vincere, confinando sulla cooperazione di quanti sono interessati a rispondere alle esigenze del mondo industriale, dando valore e dignità al lavoro.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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