La tragedia sulle vette himalayane: chi erano le vittime italiane?
Cinque italiani hanno perso la vita in Nepal in due distinti incidenti sulle vette innevate dell’Himalaya. Questo è quanto riferiscono i media locali. La Farnesina ha confermato la morte di Stefano Farronato e Alessandro Caputo sul picco Panbari, mentre altri tre connazionali sono rimasti vittime di una valanga sullo Yalung Ri, una vetta di 5.630 metri nel Nepal orientale. Tra di loro, Paolo Cocco, fotografo ed ex vicesindaco di Fara San Martino, e Marco Di Marcello, biologo di Teramo, impegnati in un tentativo di scalata del Dolma Khang, una montagna himalayana mai raggiunta prima da italiani.
Il sindaco di Fara San Martino, Antonio Tavani, ha annunciato con profondo dolore il ritrovamento del corpo di Cocco: «Purtroppo è arrivata la notizia che non avremmo mai voluto ricevere. Paolo era un ragazzo straordinario, generoso e pieno di vita. Tutta la comunità è sconvolta. Siamo vicini alla famiglia e continuiamo a sperare per Marco». Di Marcello risulta ancora disperso. Paolo Cocco, 41 anni, era partito per il Nepal il 24 ottobre e avrebbe dovuto rientrare in Italia il 20 novembre. Con loro c’era anche un’altra connazionale, Markus Kirchler.
Che cosa è successo sulle montagne del Nepal?
Le autorità nepalesi riferiscono che, da venerdì, due distinte tempeste di neve hanno colpito le cime del paese, causando valanghe letali. Lunedì mattina, una valanga ha travolto 12 persone da un campo base sullo Yalung Ri, causando sette vittime, tra cui tre italiani, un tedesco, un francese e due guide nepalesi.
Il quotidiano locale The Himalayan Times ha riferito che gli alpinisti coinvolti sarebbero tutti deceduti, citando il vicesovrintendente di polizia Gyan Kumar Mahato. Phurba Tenjing Sherpa, dell’agenzia organizzatrice della spedizione Dreamers Destination, ha dichiarato: «Ho visto tutti e sette i corpi». Le operazioni per il recupero dei corpi erano ancora in corso martedì.
I videomessaggi prima della tragedia
Pochi giorni prima della valanga, Paolo Cocco e Marco Di Marcello avevano registrato un video da Kathmandu, condividendo i loro piani con amici e familiari. «Siamo pronti a partire per la via delle montagne, con l’obiettivo di tentare la prima salita italiana al Dolma Khang, nel Parco Nazionale del Gaurishankar», avevano detto i due giovani abruzzesi.
Il messaggio trasmetteva entusiasmo, determinazione e la consapevolezza dei rischi: «Da oggi e per una settimana ci avvicineremo alla zona, ci acclimateremo, e la settimana successiva tenteremo di salire la vetta. Speriamo di riuscirci intorno al 9-10 novembre, ma dipenderà dalle condizioni meteorologiche».
Le testimonianze delle famiglie e dei compagni
Il dolore è palpabile in ogni testimonianza. Gloriana Salvai, moglie di Valter Perlino, capospedizione del gruppo che stava scalando il Panbari, racconta la drammatica vicenda: «Valter mi ha comunicato la notizia che mai avrebbe voluto riferire, quella del ritrovamento dei corpi senza vita dei suoi compagni di spedizione, Alessandro Caputo e Stefano Farronato».
Perlino era rimasto al campo base a causa di un problema al piede, mentre Caputo e Farronato erano saliti in quota. La perturbazione meteorologica, in arrivo con due giorni di anticipo, ha stravolto i piani della spedizione e ha reso le condizioni impossibili. «Le tende non c’erano più, il campo era sepolto dalla neve», ha raccontato Salvai, descrivendo la scena drammatica che ha preceduto la tragica conferma della morte degli alpinisti.
Il lutto nelle comunità italiane
Le comunità locali degli alpinisti italiani sono sconvolte. Il sindaco di Cassola, Giannantonio Stangherlin, ricorda Stefano Farronato: «Quando stamane ho appreso la notizia verso le 7.30, mi è crollato il mondo addosso. Il mio lutto è anche quello di tutti i miei cittadini, che avevano riposto una flebile speranza nel ritorno di Stefano».
Anche a Fara San Martino, dove Paolo Cocco era stato vicesindaco, il dolore è immenso. La famiglia e gli amici hanno seguito le operazioni di soccorso con ansia crescente, sperando in un miracolo che purtroppo non è arrivato. La valanga, unito alle tempeste di neve improvvise, ha reso impossibile qualsiasi intervento tempestivo sulle cime himalayane.
Perché queste tragedie colpiscono così profondamente?
Oltre alla perdita fisica, questi incidenti mettono in luce la vulnerabilità dell’uomo di fronte alla natura. L’Himalaya, con le sue cime imponenti e i ghiacciai insidiosi, resta un ambiente inospitaliero dove la preparazione, la prudenza e la fortuna possono non bastare. Ogni spedizione porta con sé il fascino dell’esplorazione e il rischio della tragedia.
Il dolore si estende oltre i familiari diretti: amici, compagni di scalata, comunità locali e nazionali sono coinvolti, uniti dalla consapevolezza della fragilità umana davanti alla maestosità delle montagne himalayane.
Le speranze rimaste: cosa accade ora?
Marco Di Marcello risulta ancora disperso sul Dolma Khang. Le autorità nepalesi, insieme alle squadre di soccorso, continuano a cercarlo, nonostante le condizioni climatiche proibitive. Nel frattempo, le famiglie degli alpinisti italiani ricevono supporto consolare dalla Farnesina e dalle ambasciate, mentre le comunità locali proclamano giorni di lutto e organizzano momenti di commemorazione.
Ogni gesto, ogni parola dei sindaci, dei familiari e dei compagni di spedizione testimonia la portata della tragedia. I nomi di Cocco, Di Marcello, Farronato e Caputo resteranno legati a queste montagne, come ricordo del coraggio e della passione degli alpinisti italiani.

