Carlo VanziniCarlo Vanzini

La scoperta, la paura e quella domanda: «Ci sarò ancora per i miei figli?»

Il 18 giugno, mentre la stagione della Formula 1 era nel pieno e la sua voce scandiva giri e strategie per milioni di spettatori, la vita di Carlo Vanzini, 54 anni, si è fermata. Non sul circuito, ma in una stanza d’ambulatorio, davanti a un referto che non lascia scampo alle interpretazioni: tumore al pancreas.
Una malattia che nella sua famiglia ha già graffiato forte, troppo forte. Cinque anni fa, la sorella Claudia non ha avuto il tempo né la diagnosi precoce che invece a lui – riconosce – hanno dato una possibilità concreta di combattere.

«La prima domanda non è stata medica, né tecnica. È stata da padre: vedrò Anita diventare donna? Sarò lì quando Luca e Giacomo decideranno chi essere?». Quel pensiero lo ha inchiodato più della diagnosi.


Chemioterapia, esami e attesa: «Ho intravisto la luce»

Il telecronista di Sky Sport, volto e voce della Formula 1 italiana, ha affrontato dieci cicli di chemioterapia. Ne resta uno. Poi, a fine gennaio, l’intervento.
L’operazione non è un dettaglio chirurgico: è la promessa di futuro.

La sua quotidianità ora è fatta di lentezza, di stanchezza che non conosceva, di mani che sembrano non appartenere al corpo che aveva costruito da ex atleta e maestro di sci. Ma anche di calcetto, di padel con Luca, di pedalate lente in ebike, perché «finché posso muovermi, mi sento vivo».

L’ottimismo – dice – non è un esercizio mediatico, ma resistenza pura: «Metto tutto in quella fessura di luce che vedo in fondo».


Il racconto ai figli e la forza della famiglia

La diagnosi è rimasta per settimane custodita tra lui e la moglie, la giornalista Cristina Fantoni.
La scelta è stata semplice e brutale: togliere ai figli l’estate dell’angoscia. Dirlo solo dopo la vacanza di luglio.

Luca, 22 anni, ha capito subito. Giacomo, 17, ha osservato in silenzio lungo. Anita, 11 anni, si è limitata ad abbracciarlo. Di notte, spesso, si infila nel letto e rimane lì. Respira, non parla. È il suo modo di combattere la paura.

Quando i commenti sui social hanno iniziato a chiedere spiegazioni sul suo cambiamento fisico, è stato proprio Luca a spingerlo a raccontare pubblicamente la malattia.
«Non potevo mentire, non a loro. Non più».


Il lavoro, la Formula 1 e un futuro da tornare a raccontare

Durante un viaggio per il Gran Premio d’Olanda, Vanzini si è tolto il cappellino davanti alla squadra Sky.
Ha raccontato tutto. Senza enfasi, senza lacrime. «Sono stati meravigliosi, come una seconda famiglia».

La Formula 1, intanto, continua a correre. E lui sogna il momento in cui potrà riprendere il microfono, la voce piena e non incerta, l’emozione del semaforo verde.
«Vorrei tornare in cabina. Non per sentirmi di nuovo forte, ma perché ho ancora storie da raccontare».


La domanda senza risposta che ha scelto di non farsi

«Perché a me?». Non se lo chiede. Non vuole. «È un esercizio che consuma energie, e io le mie le tengo per guarire». La frase è semplice, brutale, adulta. Non è di chi vuole essere un simbolo, ma di chi vuole solo restare un padre, un marito, un uomo al microfono di partenza.

Di Renato Valdescala

Esperienza nello sport e nella cronaca locale con quotidiani salernitani dal 1990. Con il tempo si è dedicato alla cronaca estera analizzando i fatti di maggiore rilievo con spirito critico e irriverente. Si occupa anche di approfondimenti di cronaca nazionale.

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