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Identità digitali in rete: uno, nessuno e centomila

L’identità è memoria. La memoria è il libro delle nostre vite: racconta chi siamo. In rete invece l’identità non costituisce un ancoraggio rigido come nel mondo reale, basti pensare al nome e cognome della carta d’identità e alle altre informazioni relative al possessore.

Nella realtà virtuale la nostra identità è disancorata dalla realtà fisica. Sganciato dalla realtà fisica, l’io virtuale viaggia all’esplorazione dei suoi molteplici sè. Nel contesto online vi è quindi una autopresentazione e autorappresentazione. Nella realtà online assistiamo a una proiezione digitale di se stessi in tutto il mondo, le distanze spazio-temporali vengono abolite, anche se proprio per questo i contatti nella maggior parte dei casi rimangono in una dimensione di pura virtualità. Nella vita reale c’è una costruzione dei ruoli sociali sulla base dei contesti socio-culturali. Il soggetto in rete può liberarsi dalle definizioni rigide che gli affibbia la società e scegliere chi essere proiettandosi nel mondo virtuale di internet. L’individuo si affranca dai costrutti dell’identità per darsi una propria autorappresentazione in rete: la rete diventa quindi una sorta di estensione della mente. L’io in rete si scinde in una molteplicità di io, uno nessuno centomila.

L’identità digitale presenta sia carattere pubblico che privato, è sfumata cangiante e partecipa sia del reale che dell’immaginario. Come Proteo, il dio greco della trasformazione, in internet l’acquisizione dell’identità è un processo in divenire che si fa continuamente. Sia pure sotto altre vesti meno consuete, anche nell’immateriale mondo del web, l’uomo continua a porsi la domanda: chi sono? La rete evidenzia la natura di esploratore dell’essere umano alla scoperta di se stesso. 

Identità digitale in rete: chi sono? 

In rete esistono delle identità-maschera che si relazionano con altre identità-maschere. Ognuno confeziona il proprio io telematico come più gli aggrada. Nello sviluppo della propria identità online l’utente può cambiare, scegliere un altro nick o pseudonimo o alter ego che meglio lo rappresenti. Nella rete domina l’incorporeità, per cui la definizione dell’identità parte dalla scelta di un nome, ovvero un nick, che può ispirarsi ai propri interessi culturali, ad esempio un libro, un film.

L’aspetto fisico nelle relazioni sociali non è modificabile, è un dato che ci precede, in rete possiamo scegliere chi siamo anche da questo punto di vista, così come per incanto l’impiegato segaligno calvo e ingobbito si trasforma in un erculeo dalla bella chioma, la donna con qualche chilo di troppo magicamente snellisce invece la propria silhouette. 

La persona in rete: ad ognuno la sua maschera 

L’io in rete si scinde in una molteplicità di io-maschere, una nessuna e centomila. Ma cos’è la maschera? Il termine persona deriva dal latino persōna che proviene a sua volta dall’etrusco phersu che significa maschera teatrale. Nel diritto romano indica il soggetto di diritto che può quindi porre in essere negozi giuridici. Nella società contemporanea, tenendo conto dello sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione, è necessario riformulare il concetto di identità nel senso di una identità multipla e frammentata. La persona virtuale si compone quindi di tutte le identità che desidera. Va tenuto conto che in rete non esiste la fisicità della persona e quindi il rapporto faccia a faccia propria della comunicazione. Il soggetto virtuale esiste in quanto dà traccia di sé.

In rete ciò equivale a comunicare e quindi molto spesso a scrivere, dato che è questa la forma di comunicazione più frequente su internet. Così nasce il concetto di persona in rete, il sé online, “il cyberself”. La presentazione del sé online inevitabilmente risente di una forte spinta narcisistica in quanto chi costruisce la propria identità digitale crea un proprio palinsesto informativo scegliendo chi ammettere o meno a parteciparvi. In tal senso e non solo in rete, la costruzione della propria identità diventa una sorta di gioco di specchi. 

Nel romanzo di Pirandello “Uno nessuno e centomila”, Vitangelo Moscarda è riflesso dagli sguardi degli altri: ciascuno lo vede a modo suo e coglie qualche particolarità che Moscarda stesso non conosce di sè. Sarà proprio una osservazione fatta casualmente dalla moglie circa la lieve pendenza a destra del proprio naso, (“Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra”) ad innescare da parte del protagonista una continua ricerca della propria identità. In rete invece stabiliamo fin da principio com’è che vogliamo che ci vedano gli altri.

Siamo noi che costruiamo la nostra identità e quindi suggeriamo agli altri come percepirci. Lo sguardo non è più paralizzante come in Sartre. L’inferno non sono gli altri. Pertanto l’identità non è più il riflesso di come ci guardano gli altri, ma di come guardiamo noi stessi. Ed è questo sguardo autoriflesso ma non autoriflessivo, che noi porgiamo agli altri suggerendo in che modo debbono considerarci. Lo sguardo dell’altro che nella realtà ci oggettiva, non è più meduseo o gorgonesco, ma siamo noi a costruirlo, a indirizzarlo, a significarlo. 

Che cos’è un nick 

Si tratta di nomi inventati, soprannomi che si usano in rete, ovvero pseudonimi della persona che vuole avere una interazione online. I nickname spesso richiamano aspetti relativi alla persona circa la sua professione, carattere, stato d’animo, passatempi, passioni. Il nick, in questa sorta di proiezione di se stessi, suggerisce come vorremmo che gli altri ci vedessero. L’identità è infatti un processo dinamico e complesso che si costruisce nel tempo nel rapporto con l’altro. E’ proprio l’uso di questa maschera che consente di aprirci più facilmente con gli altri. I nickname danno quindi un certa percezione semantica, anche se non è detto che le caratteristiche del nickname corrispondano alla persona reale di quel nick. La scelta di un soprannome in rete non è una questione affatto irrilevante in quanto questa immagine virtuale di noi stessi che costruiamo è quella con cui poi ci rapportiamo con gli altri nell’universo telematico. 

Il metaverso: una estensione virtuale polidimensionale del Sé 

Possiamo definire il metaverso una conseguenza dello sviluppo della rete internet che prevede sempre più la frequentazione di questi mondi virtuali tramite gli avatar. In effetti al momento è un concetto piuttosto fumoso, per cui non possiamo sapere come si evolverà e se effettivamente in futuro avrà delle applicazioni concrete. Possiamo definirlo un’evoluzione della stessa realtà virtuale. Il termine è stato coniato da Neal Stephenson nel libro “Snow Crash” (1992) che parla dell’universo cyberpunk. Anche il metaverso in particolare ci porta quindi a rivedere il concetto di identità. Nel metaverso tramite dei visori 3D è possibile ad esempio incontrare altri utenti, viaggiare, partecipare a concerti e conferenze. Si parla di spazi tridimensionali immersivi. Il futuro in particolare potrebbe essere una rete fatta non di siti, ma di mondi digitali tridimensionali in cui potremo muoverci liberamente con la nostra identità virtuale. Il cyberspazio quindi si compone di lunghezza, larghezza, profondità e tempo.

All’interno della rete abbiamo detto che nascono identità fluide. Vi si partecipa quindi a vere e proprie comunità virtuali. Nel Mud in particolare la costruzione del sé online virtuale ha modo di esplicitarsi in questi universi paralleli in cui si comunica con gli altri sempre attraverso una maschera, ovvero recitando un ruolo assunto. I partecipanti hanno la possibilità di cambiare la propria identità nel corso del gioco. Il mascheramento della propria identità si ha soprattutto per un fenomeno presente, che è quello di interpretare un genere diverso dal proprio. Più frequente da parte degli uomini che si fingono donne che non viceversa. 

La caduta delle maschere 

La rete è il nuovo palcoscenico in versione digitale su cui legioni di io virtuali recitano la propria commedia strappando qualche like al pubblico di internauti, a loro volta in cerca di like. Come scriveva Shakespeare: “La vita non è che un’ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla”. L’interazione in rete abbiamo visto che determina il cambiamento dello stesso concetto di identità. Internet da questo punto di vista è uno strumento ambivalente, da un lato è il mezzo che mette a disposizione maschere digitali per il camuffamento e l’offuscamento dell’identità, d’altro canto potrebbe in alcuni casi comportare delle indebite interferenze tra reale e virtuale.

Ma in effetti cosa si nasconde dietro queste maschere? Il soggetto può perdere contatto con la realtà perché in rete diventa una sorta di simulacro di se stesso. D’altro canto questa possibilità di costruire identità diverse nello spazio cibernetico e quindi agire più ruoli della propria personalità grazie agli pseudonimi o avatar, fa sì che nasca un nuovo concetto di identità che si distingue rispetto a quella reale. Nasce quindi l’identità di un soggetto errante che possiamo definire nomade nel senso di un io molteplice che trova in rete nuove forme di legittimazione e strade da percorrere per la costruzione di questa sua identità in itinere. Rimane però una domanda di fondo: una volta spento il pc e quindi abbandonato quel che siamo in rete e torniamo alla nostra identità, chi siamo?

Torniamo ad essere ciò che eravamo prima oppure finiamo col perderci in queste identità fittizie, nelle maschere costruite in rete che ricordano una personalità schizofrenica? A furia di indossare tutte queste maschere virtuali il rischio è di dimenticare chi siamo. Si possono indossare maschere sempre nella consapevolezza che deposta la stessa possiamo ritrovare il nostro volto. Altrimenti rischiamo di smarrirci e di confondere i due piani, del reale e del virtuale, che invece vanno tenuti distinti, a meno che non abbiamo una personalità schizofrenica. 

Marco Troisi

Redazione
Redazione
Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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