Per oltre quattro anni, un uomo di 40 anni è stato rinchiuso all’interno della propria abitazione a Vigevano, in provincia di Pavia, ridotto in condizioni estreme dalla sua ex compagna e da tre complici. La sua casa era diventata una prigione: senza riscaldamento, senza acqua calda, con il cibo razionato e senza possibilità alcuna di comunicare con il mondo esterno. Non un gesto d’impeto, ma un disegno pianificato e portato avanti con freddezza, con un unico obiettivo: depredarlo del suo patrimonio.
L’inferno quotidiano tra le mura domestiche
L’uomo, affetto da una condizione psichica certificata che lo rendeva non autosufficiente, è stato privato per 1.460 giorni della sua libertà e della dignità minima di vita. Non solo viveva nell’isolamento più totale, ma la sua abitazione era stata trasformata in un fortino dal quale non poteva uscire: persino il muro perimetrale era stato rinforzato con filo spinato, rendendo impossibile qualsiasi tentativo di fuga. La sua quotidianità si svolgeva nell’abbandono più assoluto, in condizioni igieniche precarie e con evidenti segni di trascuratezza fisica e psicologica.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la situazione era completamente sotto il controllo dell’ex compagna, che avrebbe orchestrato la segregazione con la complicità di altre tre persone. In gioco c’erano centinaia di migliaia di euro, un patrimonio che i quattro avrebbero cercato sistematicamente di sottrarre alla vittima, approfittando del suo stato di vulnerabilità e di isolamento.
La scoperta: un grido d’aiuto nel silenzio
Il caso è venuto alla luce a fine novembre grazie a una segnalazione casuale. Alcuni vicini avevano notato oggetti lanciati nel cortile dalle finestre della villa accanto e, insospettiti, avevano allertato la Polizia. Forse proprio quei gesti erano l’ultima risorsa di un uomo ormai disperato, un modo rudimentale di farsi notare e rompere il muro di silenzio nel quale era stato sepolto.
Quando gli agenti della Volante sono entrati nell’abitazione, si sono trovati di fronte a una scena sconcertante: l’uomo, proprietario della casa, era in stato confusionale, denutrito, trascurato e visibilmente disorientato. Immediatamente soccorso, è stato trasferito all’ospedale civile di Vigevano, dove è stato preso in carico dal personale sanitario. Le sue condizioni erano critiche, ma stabili.
L’indagine della Procura e i provvedimenti
Il ritrovamento ha dato il via a un’indagine accurata da parte della Procura di Pavia, che ha affidato il caso alla Squadra Mobile. Gli investigatori hanno ricostruito l’intera vicenda attraverso appostamenti, raccolta di testimonianze, esame della documentazione medica dell’uomo e verifiche sui suoi beni. Ne è emerso un quadro tanto chiaro quanto inquietante: la vittima era stata deliberatamente isolata per essere privata del controllo del proprio patrimonio.
Al termine degli accertamenti, il giudice per le indagini preliminari ha emesso un’ordinanza nei confronti dell’ex compagna e dei suoi complici, tutti accusati di sequestro di persona, abbandono di incapace, circonvenzione di incapace e truffa aggravata. A loro carico sono stati imposti il divieto di avvicinamento alla vittima, l’interdizione da ogni forma di comunicazione con l’uomo e l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico.
Il commento della magistratura: “Disegno criminoso lucido e pericoloso”
Nel provvedimento, il giudice non ha usato mezzi termini. Ha definito il piano portato avanti dalla donna come un “disegno criminoso” costruito con lucidità e metodo, nel quale i complici hanno avuto un ruolo attivo e consapevole. “La condotta posta in essere — si legge negli atti — ha messo in serio pericolo la vita della vittima, trattandosi di un soggetto affetto da grave infermità mentale, totalmente incapace di gestirsi da solo e bisognoso di assistenza costante.”
Una storia che fa riflettere
La vicenda dell’uomo segregato a Vigevano rappresenta un caso limite, ma non isolato. Riporta drammaticamente l’attenzione sul tema della tutela delle persone fragili, spesso invisibili, troppo spesso lasciate sole. L’abisso che si è aperto dietro le mura di quella casa pone interrogativi pesanti su cosa significhi davvero proteggere chi non ha voce, e su quanto ancora ci sia da fare per intercettare, prevenire e fermare le forme di violenza psicologica e materiale più sottili ma devastanti.
Nel frattempo, l’uomo è sotto protezione, seguito dai servizi sanitari e sociali. Della sua casa, oggi, resta solo il ricordo di un luogo che avrebbe dovuto essere rifugio, ma che per quattro lunghissimi anni è stato solo un inferno domestico.