Cosa è successo al gruppo “Mia Moglie”?
Un altro caso di violenza digitale e abuso della privacy è esploso sui social. Su Facebook era nato un gruppo chiamato “Mia Moglie” seguito da tre cuoricini, con oltre 30mila iscritti, quasi tutti uomini. Al suo interno circolavano foto intime di donne, in costume, mentre cucinavano o persino sdraiate sul divano, scattate di nascosto e condivise senza alcun consenso.
Meta ha annunciato la chiusura del gruppo, motivandola con una “violazione delle policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti”.
Perché il gruppo è stato chiuso da Meta?
Secondo la società di Mark Zuckerberg, la pagina violava in modo palese le linee guida di Facebook:
«Non consentiamo contenuti che minacciano o promuovono violenza sessuale, abusi sessuali o sfruttamento sessuale sulle nostre piattaforme. Se veniamo a conoscenza di contenuti che incitano o sostengono lo stupro, possiamo disabilitare gruppi e account, condividendo informazioni con le forze dell’ordine».
Una presa di posizione chiara, arrivata solo dopo decine di segnalazioni da parte degli utenti e dell’associazione “no Justice no Peace”, che da mesi porta avanti la campagna Not All Men contro la violenza di genere.
Chi ha denunciato la vicenda?
A far emergere la storia è stata proprio no Justice no Peace, organizzazione no profit impegnata nella difesa dei diritti delle donne.
Sul proprio profilo Instagram, l’associazione ha denunciato la presenza del gruppo e invitato gli utenti a riempire la pagina di segnalazioni e commenti indignati.
«Oltre 32.000 uomini hanno creato un gruppo Facebook dove condividere foto intime delle proprie mogli senza consenso, cercando approvazione e complicità in questa violenza», ha scritto l’associazione.
Il gruppo è stato presto travolto da messaggi di protesta e da denunce alla Polizia Postale.
Perché si tratta di revenge porn
La condivisione di immagini intime senza autorizzazione rientra nella definizione di revenge porn o pornografia non consensuale, un fenomeno che in Italia è riconosciuto come reato dal 2019.
Come spiegano le attiviste, questa pratica non è solo una violazione della privacy ma rappresenta una forma di abuso e misoginia sistemica:
«Chi partecipa a questo scempio è complice di un crimine», denuncia no Justice no Peace.
Le reazioni politiche: la denuncia in Parlamento
La vicenda è arrivata anche in sede istituzionale. Il gruppo del Partito Democratico nella Commissione Femminicidio e violenza del Parlamento ha chiesto l’intervento immediato di Meta e delle autorità.
Roberta Mori, portavoce nazionale della Conferenza delle Donne Democratiche, ha dichiarato:
«È l’ennesima prova di una violenza digitale strutturale che affonda le proprie radici nella cultura patriarcale del dominio».
Un paragone forte, che richiama anche casi internazionali come lo stupro di Gisèle Pélicot, rimasto impunito per anni, iniziato proprio da un gruppo online simile.
La chiusura è una vittoria definitiva?
Nonostante la chiusura di Mia Moglie, la lotta non è conclusa. Sul profilo di no Justice no Peace diversi utenti hanno segnalato la nascita di gruppi “di riserva” su Facebook e persino di un canale Telegram dedicato.
Tutti questi spazi sono già stati segnalati alla Polizia Postale, ma la vicenda conferma come la rimozione di un singolo gruppo non basti a fermare una cultura tossica e radicata.
Un caso che riapre il tema della violenza digitale
Il caso Mia Moglie arriva negli stessi giorni in cui si discute di un’altra violazione della privacy: la diffusione delle immagini private rubate da un sistema di videosorveglianza che ritraevano il conduttore Stefano De Martino con la compagna.
Episodi che dimostrano quanto il tema della sicurezza digitale e del rispetto della privacy resti ancora urgente e centrale nel dibattito pubblico.
La chiusura del gruppo Mia Moglie da parte di Meta rappresenta una piccola vittoria per i diritti delle donne, ma evidenzia allo stesso tempo la fragilità dei meccanismi di tutela online.
La pornografia non consensuale e la violenza digitale restano piaghe diffuse, che richiedono maggiore prevenzione, consapevolezza e azione legislativa.