Il delitto che tutti avevano creduto un suicidio
Era il 20 agosto 2023 quando Nicoleta Rotaru, 34 anni, romena, madre di due figlie, venne trovata senza vita nel bagno della sua casa di Abano Terme, provincia di Padova. La versione ufficiale iniziale parlò di suicidio: una cintura di pelle stretta al collo, dinamica compatibile, nessun segno di effrazione. Caso chiuso in poche ore. Ma era una bugia.
Oggi la Corte d’Assise di Padova ha scritto la parola decisiva sulla vicenda: ergastolo a Erik Zorzi, 43 anni, ex marito della vittima, riconosciuto colpevole di omicidio volontario aggravato e messa in scena del suicidio.
Chi era Erik Zorzi e perché nessuno ha fermato la spirale di violenza?
Zorzi non era un volto sconosciuto alle forze dell’ordine. Violento, ossessivo, manipolatore, secondo quanto è emerso dagli atti processuali. I carabinieri erano intervenuti più volte nella casa della coppia. Litigi, aggressioni verbali, minacce. Ma il Codice Rosso non scattò mai.
La pm Maria Ignazia D’Arpa lo ha detto in aula chiaramente:
“Nonostante molti sapessero, nessuno ha saputo aiutare Nicoleta.”
Una frase che pesa come una sentenza sulla coscienza di un intero sistema.
Il dettaglio che ha riaperto il caso: un cellulare dimenticato
La verità è riemersa grazie all’ostinazione delle avvocate Roberta Cerchiaro e Tatiana Veja, legali della famiglia Rotaru. Furono loro a chiedere di analizzare il cellulare della vittima, rimasto inspiegabilmente fuori dalle indagini.
Dentro, una scoperta destinata a stravolgere tutto: un audio registrato di nascosto da Nicoleta proprio la notte della morte.
L’audio choc: insulti, botte, la lotta per sopravvivere
Mille ore di registrazioni furono acquisite agli atti. In quella maledetta notte si sente tutto: l’ennesima lite, le intimidazioni, gli insulti feroci di Zorzi, i tentativi della donna di difendersi. Poi ansimi. Colpi. Una colluttazione. E silenzio.
Una prova definitiva: Nicoleta non si era tolta la vita. Era stata strozzata con violenza. Il corpo lasciato a terra nel bagno, la cintura stretta al collo per simulare l’impiccagione.
Perché nessuno ha denunciato prima?
Dagli audio emerge una realtà angosciante: violenza domestica normalizzata. Nicoleta registrava perché temeva che un giorno non avrebbe avuto modo di difendersi. Aveva ragione.
Familiari e vicini sapevano delle tensioni in casa. Ma come spesso accade, tutto è rimasto tra mura private. Nessuna denuncia concreta. Silenzio. Paura. Rassegnazione.
Le figlie rimaste senza madre e padre
Nicoleta lascia due figlie, oggi di 10 e 14 anni, affidate a una struttura protetta. In aula non erano presenti, ma c’era la loro voce nelle parole della zia:
“Non abbiamo avuto giustizia. Abbiamo avuto solo la verità. E fa malissimo.”
Indagine bis: sotto accusa anche chi doveva intervenire?
La Corte ha disposto l’invio degli atti alla Procura Generale di Venezia: si valuterà se ci furono responsabilità o negligenze nelle indagini iniziali dei carabinieri di Abano e Montegrotto. Un altro processo potrebbe aprirsi.

