Ergastolo definitivo: la decisione che chiude il processo
La Procura Generale presso la Corte d’Appello di Venezia ha rinunciato all’impugnazione contro la condanna all’ergastolo di Filippo Turetta, responsabile dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Una scelta che, comunicata ai legali della famiglia della giovane – gli avvocati Nicodemo Gentile, Piero Coluccio e Stefano Tigani – chiude definitivamente il procedimento giudiziario. Il 14 novembre era fissata la prima udienza del processo d’appello, ma non si terrà più: anche lo stesso imputato aveva rinunciato ai motivi di appello.
Con questa decisione, la sentenza di primo grado diventa irrevocabile. La responsabilità di Turetta è definitivamente accertata, così come l’aggravante della premeditazione, tra le più gravi previste dal codice penale.
La premeditazione diventa verità giudiziaria
Secondo i legali della famiglia Cecchettin, la rinuncia della Procura è “coerente, giusta e pienamente condivisibile”. La mancata impugnazione “cristallizza, senza più margini di dubbio, la sussistenza dell’aggravante della premeditazione”. Turetta non solo agì con violenza, ma pianificò l’omicidio in modo lucido e consapevole.
Gli avvocati sottolineano come questa aggravante assuma un significato ancora più drammatico in una vicenda dominata da motivi “abietti, arcaici e spregevoli”, espressione di un’idea distorta dell’amore, trasformato in possesso. La giustizia conferma ciò che l’opinione pubblica ha percepito fin dall’inizio: Giulia è stata uccisa per mano di chi non accettava la sua libertà.
Il dolore della famiglia e la scelta di fermare la macchina giudiziaria
La famiglia Cecchettin ha vissuto ogni fase del processo con compostezza e dignità. Oggi, con l’ergastolo definitivo, sente il bisogno di fermare quel circuito giudiziario che continuava a riaprire la ferita. “Si chiude la vicenda processuale – spiegano i legali – ma resta il dolore, immenso, privato e pubblico al tempo stesso”.
Non si tratta di un sollievo, ma della necessità di voltare pagina, di proteggere la memoria di Giulia da ulteriori esposizioni processuali. La giustizia ha fatto il suo corso. Ora resta il silenzio, e la responsabilità collettiva di evitare che accada ancora.
Dal lutto all’impegno: trasformare il dolore in consapevolezza
Con la fine del processo, per la famiglia Cecchettin si apre una fase nuova. “Resta un impegno essenziale – affermano i legali – trasformare il dolore in consapevolezza, affinché la società, a partire dai più giovani, riconosca e contrasti le radici profonde della violenza di genere”.
Una condanna, per quanto definitiva, non riporta indietro il tempo. Ma può diventare un punto fermo da cui ripartire per educare, prevenire, cambiare la cultura del possesso, del controllo, della sopraffazione. Il nome di Giulia non deve restare solo in un’aula di tribunale, ma vivere nella responsabilità civile, nelle scuole, nelle famiglie, nei rapporti affettivi.

