‘Una traccia genetica che può riscrivere la verità’
È riemerso dal buio di un sacco della spazzatura, silenzioso e sottile: un capello lungo tre centimetri, mai repertato ufficialmente, mai citato nei verbali, ma conservato per diciotto anni insieme ai resti di una colazione interrotta. Accanto alla confezione di Fruttolo e ai cereali consumati da Chiara Poggi la mattina del 13 agosto 2007, prima di essere uccisa nella sua villetta di via Pascoli, a Garlasco.
Il reperto, comparso all’improvviso durante l’incidente probatorio tenutosi a Milano giovedì scorso, rappresenta una svolta potenziale in un’inchiesta che sembrava chiusa. L’omicidio di Chiara ha già prodotto una condanna definitiva: 16 anni ad Alberto Stasi, all’epoca fidanzato della vittima. Ma ora, a rimettere in discussione almeno parte delle certezze acquisite, c’è anche questo: un capello anonimo, mai analizzato prima.
Un profilo genetico da decifrare
Il capello verrà affidato alle mani esperte di Denise Albani e Domenico Marchigiani, consulenti nominati dal giudice per le indagini preliminari di Pavia, Cristina Garlaschelli. Obiettivo: tentare l’estrazione di un profilo di DNA nucleare, quello più utile per una comparazione identificativa.
A differenza dei capelli già analizzati nel 2008, la cui composizione genetica portava esclusivamente alla vittima, questo nuovo campione – se integro – potrebbe fornire un’indicazione diversa. Potrebbe confermare ciò che già si sa, oppure aprire un fronte del tutto inedito.
Il peso di una traccia
Il genetista Carlo Previderè, la cui consulenza con Pierangela Grignani ha convinto la Procura di Pavia a riaprire il fascicolo, nel 2008 identificò 37 capelli sulla scena del delitto. Solo uno di questi, dotato di bulbo, restituì un DNA nucleare riferibile a Chiara Poggi. Gli altri 17 consentirono solo una mappatura mitocondriale, anch’essa compatibile con la vittima. Nessuna traccia, allora, portava ad Alberto Stasi.
Il capello appena ritrovato, però, non appartiene a quel gruppo. Secondo Luciano Garofano, ex comandante del RIS e oggi consulente di Andrea Sempio (nuovo indagato per omicidio in concorso), i reperti conservati “sono in buone condizioni”, il che lascia margine per una possibile estrazione di DNA.
Il nome di Sempio e le vecchie archiviazioni
Sempio, all’epoca dei fatti amico del fratello di Chiara, è finito sotto la lente della magistratura dopo anni di silenzio. Ma l’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, non ha dubbi: “Sempio non c’entra nulla con questo omicidio”. Lo ha ribadito di recente a Quarto Grado, trasmissione di Rete 4 che ha seguito passo per passo l’evoluzione del caso.
Venditti, va ricordato, fu proprio il magistrato che chiese e ottenne l’archiviazione per Sempio due volte. Ora osserva con distacco critico la riapertura di un’inchiesta che continua a oscillare tra certezze giudiziarie e verità che sfuggono.
La voce degli investigatori
Nel frattempo, emergono anche i ricordi degli investigatori che entrarono nella casa di Chiara quella tragica mattina. Tra loro, Roberto Pennini, ex brigadiere dei carabinieri, ha rilasciato dichiarazioni pesanti: “Da Stasi ricevemmo due versioni. Dopo che gli mostrammo la foto del cadavere, cambiò completamente descrizione rispetto a quella iniziale”.
Un dettaglio che aggiunge ambiguità a un quadro già intricato, e che ora potrebbe essere rivisitato sotto la luce di un nuovo profilo genetico. Se il capello misterioso racchiude informazioni diverse da quelle già note, potrebbe emergere un nome nuovo, un’altra presenza, forse un altro movente.
Una verità ancora in cerca d’autore
Il delitto di Garlasco, dopo quasi vent’anni, continua a muoversi tra giustizia formale e inquietudine popolare. La condanna di Stasi, già scontata per la maggior parte, è un fatto giuridico. Ma ogni nuova traccia – come questo capello mai visto – è una finestra aperta sul dubbio, sulla possibilità che la verità processuale non coincida con quella sostanziale.
Ora toccherà alla scienza fornire risposte. E forse, ancora una volta, a nuovi interrogativi fare luce su vecchie ombre.