Impagnatiello nel momento della lettura della sentenzaImpagnatiello nel momento della lettura della sentenza

‘La vendita dell’auto di Impagnatiello fu un atto di distrazione patrimoniale’

Il caso di Alessandro Impagnatiello, già condannato all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Tramontano e del figlio che portava in grembo, ha ora anche un capitolo civile. Il Tribunale civile di Milano ha infatti condannato Laura Ciuladaite, cognata dell’ex barman, a risarcire la famiglia della vittima con 25mila euro tra danni e spese legali.

La donna, moglie del fratello di Impagnatiello, Omar, risulta infatti intestataria della Volkswagen T-Roc appartenuta al barista, venduta poco dopo l’arresto e la confessione. Secondo i giudici, la compravendita fu un atto di distrazione patrimoniale volto a sottrarre beni ai creditori, cioè ai familiari di Giulia Tramontano.


L’auto del delitto e la vendita sospetta

La T-Roc non era una vettura qualunque: è la stessa auto con cui Impagnatiello trasportò il cadavere di Giulia per giorni, dopo averla uccisa nell’appartamento di Senago, fino a occultarlo in un’intercapedine di alcuni garage.

Dopo l’arresto, il fratello del condannato ricevette da Impagnatiello una procura speciale per gestire i suoi beni. Pochi mesi dopo, la macchina fu venduta alla cognata per 10mila euro, un valore nettamente inferiore a quello reale, stimato intorno ai 20mila euro.

Per il giudice Francesco Pipicelli, questa operazione aveva un solo scopo: “sottrarre il bene alle ragioni creditorie dei familiari di Giulia Tramontano”.


Il nodo dei risarcimenti e il ruolo del Fondo statale

In sede penale, i giudici avevano già disposto provvisionali molto elevate:

  • 200mila euro ciascuno ai genitori di Giulia,
  • 150mila euro ciascuno al fratello e alla sorella.

Tuttavia, Impagnatiello risulta nullatenente. Per questo, gli unici risarcimenti certi arriveranno dal Fondo del Viminale per le vittime di reati intenzionali violenti, un meccanismo previsto per tutelare le famiglie che non possono rivalersi sul patrimonio del condannato.

La vendita fittizia dell’auto ha reso ancora più evidente, secondo i giudici, la volontà di Impagnatiello e dei suoi familiari di eludere le obbligazioni civili.


La denuncia di un furto mai avvenuto

Un ulteriore dettaglio emerso nel processo civile riguarda una presunta denuncia di furto dell’auto, presentata dai parenti di Impagnatiello nell’ottobre 2024. La mossa avrebbe potuto consentire di incassare l’assicurazione, ma la compagnia non riconobbe mai il sinistro perché l’atto non risultava veritiero.

Anche questo episodio è stato valutato dai giudici come un tentativo ulteriore di sottrarre risorse economiche destinate alla famiglia Tramontano. Non a caso, il tribunale ha annullato l’atto di compravendita della vettura e stabilito il risarcimento.


Un caso che resta simbolo della violenza di genere

La vicenda giudiziaria di Impagnatiello continua a intrecciarsi tra penale e civile, mantenendo vivo il dolore per una comunità scossa dalla tragedia di Senago.

La condanna della cognata non ha lo stesso peso del processo penale, ma rappresenta un riconoscimento simbolico e giuridico importante: chi tenta di sottrarre beni per evitare i risarcimenti rischia conseguenze dirette.

Per la famiglia Tramontano, assistita dagli avvocati Rosario Santella e Giovanni Cacciapuoti, questa decisione conferma che la giustizia intende tutelare fino in fondo i diritti delle vittime e dei loro cari.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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