Nazif MuslijaNazif Muslija

Il 50enne ha tentato di farla finita, le tracce ematiche su un tubo di ferro

È vivo. Malridotto, ma vivo. Nazif Muslija, 50 anni, rintracciato dopo 48 ore di fuga tra le scarpate di Braccano, Matelica, in un punto così impervio che persino la rete telefonica si spegne. A trovarlo è stato un cacciatore, quando ormai la luce si stava chiudendo sulla valle. «Era appeso a un albero», riferisce chi lo ha soccorso. Non è morto. È stato stabilizzato dal 118, trasferito d’urgenza all’ospedale di Camerino. Le sue condizioni non sono critiche. Il corpo c’era, la voce no. Come se la fuga – e il tentativo di farla finita – avessero drenato l’ultima stilla di volontà.

Intanto ad attendere chiarimenti è la scena del femminicidio di Pianello Vallesina, la stanza in cui Sadjide Muslija, 49 anni, lavoratrice silenziosa e vicina invisibile per molti, è stata massacrata con colpi alla testa e al torace. L’arma: un tubo di ferro, probabilmente rimosso da un ponteggio. È stato repertato dai RIS e sequestrato. Ha tracce ematiche e verrà analizzato, centimetrando ferita per ferita, curva per curva.


La denuncia dell’aprile scorso e quel “corso per maltrattanti” che non è mai iniziato

Il punto non è solo il ritrovamento. È ciò che precede. La storia documentata. Ad aprile scorso, Nazif era finito in arresto per violenza domestica, dopo aver inseguito la moglie con un’ascia fino alla camera da letto. La stessa in cui Sadjide è morta. Era uscito dopo aver patteggiato. Avrebbe dovuto accedere, come previsto, a un programma di recupero per uomini violenti. Solo che quella possibilità non è mai diventata concreta.

La procuratrice capo di Ancona, Monica Garulli, lo ha spiegato senza giri di parole: «I percorsi funzionano solo se avviati realmente, non possono restare teoria. Se non sono appropriati, diventa inutile persino prevederli». La traduzione è amara: il meccanismo di prevenzione esiste ma, quando si inceppa, ciò che resta è il fatto compiuto.


La coppia invisibile nel paese da 3mila abitanti

A Pianello Vallesina tutti li conoscevano e insieme non li conosceva nessuno. Operai entrambi, vite regolari, zero social, zero chiasso, pochi contatti. Vivevano in un comune da meno di 3mila residenti, dove a volte l’apparenza funziona da scudo e altre diventa bolla. Nessun segnale visibile, dicono i vicini. Eppure in casa Muslija la violenza aveva già bussato.

Ora l’uomo è indiziato principale del femminicidio. La sua Smart bianca è stata ritrovata a poca distanza dalla zona in cui ha tentato di togliersi la vita. La Procura procede con riserbo ma l’impianto accusatorio sembra costruirsi lungo una sola direttrice: la recidiva della violenza, il ritorno alla rabbia dopo mesi di finta quiete.


Il silenzio dopo il sangue

Non è ancora chiaro se Muslija parlerà, se racconterà la dinamica, se cercherà una giustificazione. Gli inquirenti attendono che sia dimissibile per l’interrogatorio. Il quadro medico consente ottimismo. Quello giudiziario, meno.

In paese nessuno finge più di non sapere. Non ora che il buio ha trovato un volto e un nome. Non ora che Sadjide non c’è più e che quell’uomo che doveva essere “recuperato” è stato ritrovato su un ramo, sospeso tra fuga e resa.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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