Una vita spezzata “per capriccio”: la requisitoria choc della Procura di Bergamo
Una vita tolta senza motivo, se non la noia. È con queste parole durissime che il pubblico ministero di Bergamo, Emanuele Marchisio, ha definito l’omicidio di Sharon Verzeni, la giovane donna uccisa a coltellate nella notte tra il 29 e il 30 luglio dello scorso anno a Terno d’Isola mentre stava facendo jogging. Un delitto che, secondo l’accusa, non nasce da un raptus né da una lite, ma da una scelta lucida, fredda, maturata “per provare il piacere di uccidere”.
Per questo il pm ha chiesto la condanna all’ergastolo per Moussa Sangare, imputato per l’omicidio, con le aggravanti della premeditazione, della minorata difesa e dei futili motivi, definiti senza mezzi termini “giganteschi”.
Sette coltellate, una vittima scelta perché indifesa
Secondo la ricostruzione della Procura, Sharon Verzeni non conosceva il suo assassino. Non c’era alcun legame tra i due. Sangare, quella notte, era in giro in bicicletta per Terno d’Isola e avrebbe “fiutato il terreno”, scegliendo deliberatamente la persona più vulnerabile che incontrò: una donna sola, impegnata a correre, senza possibilità di difendersi.
Sette coltellate, inferte con violenza, che non le hanno lasciato scampo. “Un delitto per noia”, ha ribadito il pm in aula, sottolineando come l’imputato non abbia mai mostrato un solo segno di pentimento.
Le prove: video, Dna e la bicicletta ripulita
Durante la requisitoria, il magistrato ha mostrato immagini delle telecamere di sorveglianza che inchiodano Sangare. È lui stesso, ha spiegato Marchisio, ad ammettere di essere stato in zona quella notte. I filmati lo ritraggono mentre pedala lentamente prima dell’omicidio e molto più velocemente subito dopo.
Decisivo anche il Dna misto di Sangare e Sharon rinvenuto sul telaio della bicicletta. Un mezzo che l’imputato avrebbe cercato di “ripulire” cambiando le manopole e la ruota anteriore per eliminare le tracce di sangue. Il coltello è stato nascosto in una zona umida vicino al fiume, mentre i vestiti sono stati gettati in acqua. Recuperati dal Ris, asciugati e fatti indossare a un manichino con le stesse caratteristiche fisiche dell’imputato, hanno restituito l’immagine inquietante dell’uomo che vagava quella notte.
Le ritrattazioni e la rabbia del pm
In aula Sangare ha tentato più volte di intervenire, venendo zittito dal pm: “Stia zitto, ora parlo io”. Tutto ciò che l’imputato aveva inizialmente confessato ha trovato riscontro oggettivo, mentre le successive ritrattazioni si sono rivelate “totalmente false”.
Marchisio ha sottolineato anche un inquietante elemento ricorrente: Sangare ha precedenti per maltrattamenti contro la madre e la sorella. “Solo donne”, ha scandito il pm, tracciando un profilo che rafforza l’accusa di una violenza mirata verso soggetti percepiti come più deboli.
Il dolore dei familiari: “L’ergastolo è il minimo”
Visibilmente provato Sergio Ruocco, compagno di Sharon, ha commentato: “L’ergastolo è il minimo. Rivedere quei filmati non è stato semplice”. Parole condivise anche dal padre della vittima, Bruno Verzeni, che ha definito la richiesta del pm “giusta e doverosa”, dicendosi sollevato per il fatto che il compagno della figlia, inizialmente sospettato, sia stato completamente scagionato.
La famiglia e il compagno di Sharon, costituiti parte civile, hanno chiesto un risarcimento complessivo di un milione e mezzo di euro. “Si tratta di riaffermare il valore intangibile della vita di una giovane donna a cui non è stata data alcuna possibilità di scappare”, ha dichiarato l’avvocato Luigi Scudieri. “Quella sera Sangare si è messo a caccia. L’ergastolo è l’unica pena giusta”.

