La lettera di Nathan e Catherine: cosa cambia nella vicenda dei bambini
Nuovo capitolo nella vicenda della famiglia che viveva nel bosco di Palmoli: a una settimana dall’allontanamento dei tre bambini, attualmente protetti in una struttura dedicata, i genitori Nathan Trevallion e Catherine Birmingham rompono il silenzio e diffondono una lunga lettera in cui presentano la loro versione dei fatti.
Un intervento che appare come un cambiamento netto — con ogni probabilità legato all’ingresso dei nuovi avvocati, dopo la revoca del precedente legale — rispetto ai numerosi “no” opposti nelle 48 ore successive al provvedimento. I tempi però stringono: il ricorso alla Corte d’Appello dovrà essere depositato entro sabato 29 novembre dagli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas.
Il nodo degli aiuti rifiutati e la questione della casa prefabbricata
Nel comunicato, i genitori ribadiscono di aver rifiutato le offerte di aiuto provenienti dal Comune di Palmoli e da privati non per ostinazione, ma perché convinti di poter gestire autonomamente la situazione, mentre nella loro versione viene definito “falso” il racconto secondo cui avrebbero respinto la soluzione dell’abitazione prefabbricata proposta dal sindaco: una struttura nuova, dotata di più stanze e situata a soli tre chilometri dal centro abitato, ideata proprio per consentire alla famiglia di mantenere un contatto quotidiano con la natura.
La coppia rivendica la propria filosofia di vita, basata sulla scelta di crescere i figli in un contesto naturale e su un approccio educativo centrato sull’autonomia e sull’apertura mentale. “Abbiamo la gioia di preservare il nostro spirito e la nostra filosofia di vita – sottolineano – ma non per questo vogliamo essere sordi alle sollecitazioni esterne”.
Secondo la loro ricostruzione, proprio la distanza culturale e metodologica avrebbe alimentato incomprensioni crescenti con i servizi sociali, soprattutto sul fronte della documentazione relativa all’educazione parentale e sulle modalità della vita quotidiana nel casolare.
La filosofia di vita “nel bosco” e le incomprensioni coi servizi sociali
Nathan e Catherine aggiungono inoltre un elemento nuovo: avrebbero compreso pienamente la portata dell’ordinanza solo due giorni fa, dopo averne ottenuto la traduzione integrale in inglese. Una difficoltà linguistica che avrebbe pesato su comunicazioni, scadenze e risposte agli uffici competenti.
“Ci dispiace profondamente – affermano – che non si sia avuto modo di dimostrare come l’educazione parentale sia da noi strettamente osservata”.
La centralità dei bambini è richiamata più volte. “Ogni nostra scelta, ogni nostro passo, compreso il trasferimento in questa straordinaria terra che ci ha accolto, è stato orientato al loro benessere psicofisico”.
Pur esprimendo dolore per quanto accaduto, i genitori precisano di non considerare il tribunale “un antagonista”, bensì un soggetto che persegue lo stesso obiettivo: la tutela dei minori.
Le parole del Garante e l’intervento del ministro Nordio
Una linea che trova eco nelle parole del Garante per l’infanzia Marina Terragni, che ricorda come l’allontanamento debba essere una misura eccezionale e temporanea, da adottare solo quando l’incolumità è a rischio.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, puntualizza: “Non è stato inviato alcun ispettore. Sono in corso controlli preliminari, poi valuteremo gli sviluppi”.
L’ex avvocato della coppia, Giovanni Angelucci, sostiene invece che la nota odierna rappresenti un tentativo di “sanare” i rifiuti netti dei giorni precedenti, rivendicando di aver dato “una scossa” alla famiglia con la sua rinuncia all’incarico.
Intanto sul territorio continua la mobilitazione. Il sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli, racconta di ricevere quotidianamente offerte gratuite di aiuto da pediatri, ingegneri, geometri e imprenditori pronti a collaborare per favorire il ricongiungimento familiare. Nel fine settimana, inoltre, la Lega Abruzzo organizzerà una raccolta firme nei maggiori centri della regione.
Il precedente di Avellino: un caso che torna a pesare nel dibattito
L’intera vicenda richiama alla memoria il recente caso di Avellino, dove un’altra famiglia aveva denunciato criticità nella comunicazione con i servizi sociali e nelle modalità di esecuzione di un provvedimento di tutela. Anche in quell’occasione, la distanza culturale e la difficoltà nel gestire gli adempimenti burocratici avevano creato tensioni sfociate in provvedimenti contestati.
Il parallelo — seppur con dinamiche diverse — sta alimentando il dibattito sulla necessità di procedure più chiare, interventi più rapidi in presenza di barriere linguistiche e un sistema di supporto che eviti l’inasprimento dei conflitti.

