Il piccolo Giovanni e la mamma Olena StasiukIl piccolo Giovanni e la mamma Olena Stasiuk

Un omicidio annunciato: i precedenti ignorati

Non è stato un gesto improvviso. A Muggia, in provincia di Trieste, la tragedia del piccolo Giovanni, ucciso dalla madre Olena Stasiuk, 55 anni, riapre uno dei dossier più delicati del sistema di tutela dei minori: quello dei segnali ignorati.
Le minacce della donna – oggi agli atti – risalirebbero addirittura al 2018, quando, di fronte all’ipotesi dell’affido esclusivo al padre, dichiarò che avrebbe potuto «uccidere il bambino, se stessa e il compagno». Una frase verbalizzata dai servizi sociali e oggi diventata una drammatica premonizione.

La battaglia giudiziaria e i segnali sottovalutati

Per anni il padre aveva denunciato comportamenti preoccupanti, episodi di violenza sul piccolo e un equilibrio psicologico che considerava instabile. Due occasioni, in particolare, avevano destato allarme: una stretta al collo che lasciò lividi al bambino e un episodio simile avvenuto due anni prima.
Nonostante questo, nel maggio 2025 il tribunale civile autorizzò la donna a vedere il figlio una volta alla settimana da sola, dopo un periodo di incontri protetti. Una decisione che oggi viene messa in discussione apertamente. «Perché è stata lasciata senza assistenza?», chiede il padre, descritto come “devastato”.

Secondo quanto riferito dalla sua avvocata, Olena era stata in cura per una grave crisi nel 2017. Dopo alcuni anni di follow-up al Centro di salute mentale, nel 2023 l’assistenza fu interrotta e la donna non assunse più farmaci. Formalmente non presentava sintomi allarmanti, ma il padre continuò a chiedere una perizia psichiatrica che non fu mai eseguita.

La ricostruzione delle ultime ore e l’indagine ministeriale

Adesso Olena Stasiuk è ricoverata all’ospedale Maggiore, piantonata, in attesa di una valutazione psichiatrica richiesta dalla sua legale. L’interrogatorio di garanzia non è stato ancora svolto.
La Procura di Trieste ha aperto un fascicolo, mentre al Ministero della Giustizia è attesa una relazione per chiarire le ragioni che portarono il tribunale a concedere le visite non protette. Una prassi prevista in questi casi, ma che assume un peso drammatico alla luce dei fatti.

A intervenire è stato anche il vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, che ha parlato di «sconfitta collettiva» e della necessità di impedire che tragedie simili si ripetano. Intanto la comunità resta attonita davanti a una vicenda che, secondo gli investigatori, porta tutti i segni di un omicidio annunciato.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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