Vincenzo LanniVincenzo Lanni

Accoltellamento Anna Laura Valsecchi, Lanni: ‘Sono stato buttato fuori da Unicredit’

Tre giorni dopo l’aggressione di piazza Gae Aulenti, Vincenzo Lanni si trova ancora rinchiuso a San Vittore. Ma questa volta non sono i dettagli cruenti dell’attacco a scuotere la città, quanto le parole dell’uomo: “Il mio obiettivo era colpire un dipendente Unicredit. Io lavoravo per Unicredit e sono stato buttato fuori… non la signora, spero stia meglio”. È un racconto che brucia di lucidità, di rancore accumulato in anni di frustrazione e isolamento. Lanni, 59 anni, originario della Bergamasca, con problemi psichiatrici noti, offre al gip e al pm un quadro inquietante: il gesto non è stato casuale, ma la manifestazione finale di una vendetta che covava da anni.

Secondo la sua testimonianza, il piano era semplice e brutale: recarsi nel luogo dove il mondo della finanza – che lui ritiene responsabile della sua rovina – si manifestava, e colpire simbolicamente. La vittima, Anna Laura Valsecchi, dipendente di Finlombarda, non aveva alcun legame con lui. Era scelta a caso, un tramite per il risentimento che Lanni nutriva verso un sistema che lo aveva escluso e punito.

La frattura con la comunità Exodus

Il movente di Lanni si intreccia con la sua vita personale. Racconta di essere stato “cacciato” dalla comunità Exodus in provincia di Varese, che considerava una famiglia, dopo un litigio con un altro ospite per “uno schiaffo”. L’espulsione segna per lui la perdita di un punto di riferimento e agisce come detonatore di una rabbia preesistente. “Due opzioni: o mi richiamano dalla comunità, o faccio questo per vendetta, per rivalsa verso chi mi ha licenziato dieci anni fa”, dice davanti al giudice.

La lucidità con cui racconta i fatti è inquietante. Come annota la giudice nel provvedimento di convalida del fermo, Lanni “ha raccontato i fatti con estrema lucidità e con la convinzione di aver agito correttamente, sentendosi vittima del sistema”. Questa percezione distorta della realtà rende chiara la sua pericolosità sociale e la completa incapacità di comprendere la gravità di quanto commesso.

Un piano freddo e premeditato

Non si trattava di un gesto impulsivo. Già giovedì scorso, Lanni era arrivato a Milano, aveva comprato il coltello in un negozio vicino alla Stazione Centrale e il sabato successivo aveva effettuato un sopralluogo nel luogo dell’aggressione. Quando infine colpisce, lo fa con calma: pugnala la donna alla schiena e se ne va “a passo tranquillo”, ignorando le telecamere di sorveglianza. È la testimonianza di un uomo che ha progettato il crimine come una mossa strategica, senza esitazione né empatia per la vittima reale.

Le parole che pronuncia davanti al giudice riflettono la sua frattura con la realtà: “Io ho la vita rovinata, sono passato dalla prospettiva di avere un futuro ad avere niente”. Non è solo un gesto di rabbia, ma un atto di rivalsa che nasce da un sentimento di ingiustizia personale e da un rancore accumulato per anni, amplificato dalle sue condizioni psichiatriche.

Un passato segnato dalla violenza

Il percorso di Lanni è già costellato di episodi violenti. Nel 2015 aveva pugnalato due anziani, subendo otto anni di carcere e tre di misura di sicurezza. Tornato libero, aveva scelto di rimanere nella comunità di Varese, ma si era più volte allontanato volontariamente, manifestando pensieri deliranti. Nel 2023 era stato bloccato con un coltello nello zaino e l’anno successivo aveva espresso intenzioni violente verso figure politiche. La reiterazione dei comportamenti dimostra una pericolosità sociale consolidata e una difficoltà strutturale a integrarsi nella società.

Milano osserva con incredulità

La città osserva sbigottita questa rivelazione. Il gesto che già aveva sconvolto l’opinione pubblica non era frutto di follia improvvisa, ma di una pianificazione lucida, di un rancore personale che si è trasformato in violenza concreta. La vittima, scelta a caso, lotta ora tra la vita e la morte in ospedale, mentre l’autore rimane in cella accusato di tentato omicidio aggravato e porto abusivo d’armi. La cronaca nera di Milano si tinge di un’altra sfumatura: non è la brutalità del gesto a sorprendere, ma la motivazione, la rabbia lucida, la vendetta consapevole contro un mondo che Lanni sente di aver perso per sempre.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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