La condanna dell’ex compagno e il racconto choc a Verissimo
Francesca De André è tornata nello studio di Verissimo con il coraggio di chi non vuole più tacere. La nipote del grande cantautore Fabrizio De André ha raccontato a Silvia Toffanin gli sviluppi della battaglia legale contro l’ex compagno, Giorgio Tambellini, condannato a 3 anni e 3 mesi di reclusione dal Tribunale di Lucca per maltrattamenti e lesioni aggravate.
È una sentenza definitiva, arrivata a un anno dall’apertura del processo. Ma per Francesca, quella pronuncia non è sinonimo di giustizia compiuta.
«Provo ancora rabbia per la sentenza. Dopo tutte le prove portate in aula, non c’è equilibrio nel giudicare questo genere di reati. Lui sarà libero fra tre anni, mentre io sto ancora cercando di rimettere insieme i pezzi» – ha confidato alla conduttrice del talk di Canale 5.
«Mi picchiava con i guanti da lavoro e mi lanciava oggetti infuocati»
Il racconto di Francesca De André è un pugno nello stomaco.
«Il mio ex faceva uso di sostanze. Mi picchiava dopo essersi messo i guanti da lavoro, mi lanciava oggetti dopo averli incendiati, mi buttava candeggina addosso», ha ricordato con voce ferma ma rotta dall’emozione.
Un’orrore domestico fatto di botte, minacce e terrore. Nonostante le prove raccolte — video, foto e referti medici — Francesca ha spiegato di aver impiegato molto tempo prima di accettare la realtà della violenza che subiva.
«Anche quando finii in ospedale in codice rosso, rifiutai di parlare con qualcuno. In tv davo consigli alle donne su come riconoscere i segnali di un amore tossico, eppure io stessa li ignoravo. Pensavo fosse normale.»
Quando le cicatrici sono fisiche e psicologiche, il confine tra vittima e sopravvissuta diventa sottile. Francesca lo sa bene:
«Il mio corpo parla per me, ho ancora i buchi sulla testa e i segni di quello che mi ha fatto.»
«Un sistema che chiede alle donne di denunciare, ma poi non le protegge»
La condanna del suo ex compagno, spiega, non basta a cancellare la paura.
«Se continuiamo a dire alle donne di denunciare ma poi chi commette certe cose resta libero, cosa possiamo aspettarci? Io avevo testimoni, foto e video, eppure ho dovuto convivere col terrore di rivederlo fuori.»
Parole che suonano come un atto d’accusa contro un sistema giudiziario che spesso lascia le vittime sole, esposte, senza protezione concreta dopo la denuncia.
La De André non si è presentata in aula per l’ultima udienza.
«Non avevo l’obbligo di farlo, ma soprattutto non volevo rivederlo. Mi avrebbe fatto male, mi avrebbe tolto tutta la forza che ho ritrovato con tanta fatica.»
Infanzia difficile e ferite antiche
Le violenze non sono arrivate solo in età adulta. Francesca ha raccontato di aver vissuto situazioni traumatiche fin da bambina:
«Sono finita in orfanotrofio da adolescente. La mia tutrice era sadica: mi guardava e rideva, dicendomi che non avevo più una famiglia. Scappavo spesso, ma nessuno mi credeva.»
Una storia di solitudine e abuso che si intreccia con un cognome importante ma, come lei stessa chiarisce, mai d’aiuto:
«Il mio nome non mi ha aperto nessuna porta. Mi ha solo messo addosso aspettative impossibili.»
Oggi, Francesca vive da sola. Con la madre ha rapporti saltuari, e il resto della famiglia è lontano. Ma la sua forza nasce proprio da quella consapevolezza di aver toccato il fondo e di essersi rialzata.
«Non posso e non voglio avere figli»
Tra le rivelazioni più intime, la decisione di non diventare madre:
«I traumi che ho vissuto mi hanno portato un senso di responsabilità enorme verso i bambini. Non voglio farli nascere se non sono pronta a proteggerli. I figli meritano amore, non eredità di dolore.»
Un dolore amplificato anche dalla malattia: Francesca ha dovuto affrontare un’operazione per la rimozione di tre masse tumorali, che le ha comportato l’asportazione delle tube di Falloppio.
«Mi hanno salvato le ovaie. Forse un giorno, con la fecondazione artificiale, potrò provarci. Ma ora non voglio. Devo pensare a me.»
Dalla paura alla rinascita
La sua presenza a Verissimo non è solo una testimonianza, ma un messaggio a chi vive la stessa paura.
«Non bisogna vergognarsi. La violenza non è colpa nostra. Si può ricominciare, ma serve aiuto vero, concreto.»
Il volto della De André, segnato ma fiero, è quello di una donna che trasforma il dolore in consapevolezza. E il suo racconto, crudo e diretto, diventa una denuncia che va oltre la cronaca: una richiesta di giustizia e di umanità in un Paese dove, troppo spesso, le sentenze arrivano quando le ferite sono già indelebili.