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Specchio e letteratura: narcisi, dame, Maddalene e sirene

Soglia tra il reale e l’immaginario, il doppio, il riflesso, passaggio segreto per l’altrove, sono alcune delle tematiche inerenti allo specchio. Lo specchio racchiude una complessa simbologia che si è venuta sviluppando nel corso dei secoli, in particolare a partire dal medioevo fino ai giorni nostri è giunta attraverso un ricco repertorio iconografico.

Lo specchio inteso secondo una valenza negativa si rifà al mito di Narciso, diventa allegoria dei peccati di lussuria superbia e vanità. Ma lo specchio assume anche un significato più profondo, perché non è solo un riflesso esteriore, ma nello specchio ci si guarda dentro, in profondità: lo specchio diventa quindi una metafora dello sguardo interiore, una fotografia interiore, un mezzo conoscitivo. In questo senso è simbolo della conoscenza di sé. Sulla superficie di questo strumento si materializza l’io nascosto e quindi non visibile. In tal senso è emblematica la vicenda della Maddalena penitente ritratta da innumerevoli pittori. Lo specchio è quindi correlato a una molteplicità ramificata di significati: nello specchio una bella donna si guarda e si mira e quindi è simbolo della vanità, della lussuria che può suscitare se ad ammirarla c’è un occhio maschile.

D’altro canto la bellezza è bene effimero e quindi la stessa giovinezza che si mira e ammira allo specchio un giorno si tramuterà in vecchiezza ed è quindi anche un’allusione alla morte.

Lo specchio, abbiamo detto, è anche però conoscenza riflessiva se non riflettiamo nello specchio la nostra immagine visiva, ma la nostra interiorità, il nostro io. Lo specchio non è solo quindi simbolo di inganni, falsità, vanità, ma anche della verità, dell’eternità, della conoscenza di se stessi. 

Specchio: l’etimologia 

Specchio deriva dalla parola latina speculum, dal verbo specere che significa osservare, speculare. Nel Medioevo lo specchio diventa una sorta di contenitore dello scibile, nasce così lo speculum, un nuovo genere letterario con finalità pedagogiche. 

Lo specchio magico 

Nello specchio noi vediamo sempre il presente. Secondo alcune credenze popolari, lo specchio e altre superfici riflettenti, ad esempio nei laghi in alcune occasioni, era possibile vedere immagini del passato o di eventi futuri o comunque lontani dal luogo in cui ci si trovava. 

Nell’iconografia occidentale lo specchio sconta una  certa qual ambivalenza simbolica: da un lato è una sorta di ammonimento in quanto è un attributo delle sirene che conducono l’uomo alla perdizione se si lascia invaghire dal loro canto e quindi lo specchio diventa esempio di lussuria e vanità, ma lo specchio è anche attributo delle virtù, ovvero della verità e della prudenza che permettono all’uomo di conoscere se stesso. Secondo la tradizione popolare, gli occhi sono specchio dell’anima e d’altronde gli innamorati si può dire che si specchiano, occhio nell’occhio vicendevolmente, perché si riconoscono l’uno nell’altro. Sempre secondo la tradizione popolare sognare degli specchi sarebbe da mettere in relazione con un presagio di morte. 

Specchio: l’occhio divino 

Vi è poi anche la tradizione che vede nello specchio un’immagine speculare dell’essere divino, la creazione come occhio trascendente e come specchio in cui il creatore si riflette nelle creature. 

Lo specchio: allegoria di vizi e virtù 

Lo specchio vanta una certa tradizione figurativa dopo che nel medioevo si sono vinti dei tabù che attribuivano a questo strumento una valenza diabolica, ad esempio l’obbligo di coprire gli specchi nella casa di un defunto in quanto si temeva che il viaggio della sua anima potesse rimanere intrappolato negli specchi stessi, il divieto di guardarsi negli specchi durante la notte, la paura nel romperlo perché avrebbe mandato in frantumi anche l’anima. La paura nasce dalla convinzione che lo specchio sembra trattenere qualcosa di noi: ovvero il nostro riflesso anche in nostra assenza come se lo imprigionasse. Insomma secondo certe tradizioni non bisogna specchiarsi perché lo specchio potrebbe impadronirsi della nostra anima.

É solo nel Rinascimento che con l’autoritratto lo specchio trova rappresentazione in molti quadri e in particolare diviene allegoria dei vizi e delle virtù. Lo specchio diviene quindi espressione non solo della vanità e della superbia, peccati capitali, ma anche della sapienza, prudenza e della verità. In particolare, soprattutto da parte dei pittori fiamminghi, vi è l’utilizzo di specchi convessi, basti solo pensare al ritratto dei coniugi Arnolfini di Van Eye Dick, in quanto permettono di rappresentare interi ambienti in tutta la loro profondità e quindi consentono allo sguardo di spaziare al loro interno. Vi è anche una rappresentazione ironica della vanità, basti pensare a Bernardo Strozzi, il cui quadro dal titolo emblematico Vanità, rappresenta una donna anziana che si mira in uno specchio e pur approssimandosi alla soglia fatale non rinuncia al belletto. Spesso dietro queste donne che si mirano allo specchio si apposta un demone burlone che irride la loro vanità.

In effetti la celebrazione delle grazie femminili, ricordiamo in particolare il ritratto di “Venere allo specchio”, rappresenta uno dei temi prediletti nella pittura tra Cinquecento e Seicento. In questo senso è celebre il quadro di Tiziano Vecellio “Donna allo specchio”. Soprattutto però si afferma il tema della Maddalena penitente che ebbe larga fortuna in molte rappresentazioni in età barocca. Con la Maddalena penitente lo specchio diventa lo specchio dell’anima e quindi uno strumento di conoscenza di sé. La Maddalena vede in profondità, scoprendo che quanto piace al mondo è breve sogno per dirla col Petrarca. Lo specchio ha anche una valenza sacra, si pensi solo allo “Speculum sine macula” Libro della Sapienza (VII,26) che sarebbe diventato uno degli attributi della Vergine.

E ancora proseguendo in questo itinerario, un altro esempio scritturale ci viene da San Paolo che nella Prima Lettera ai Corinzi 13,12 scrive: “videmus nunc per speculum in aenigmate tunc autem facie ad faciem” ovvero “Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora vedremo invece a faccia a faccia”. La conoscenza umana delle verità più profonde è quindi solo indiretta, come è la visione in uno specchio, e confusa perché nell’antichità gli specchi non riflettevano le superfici in maniera nitida.

Lo specchio come attraversamento di una soglia, Lewis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie 

Lo specchio può intendersi anche come soglia che ci proietta in un altro mondo fantastico, parallelo a quello che conosciamo. Basti pensare quale riferimento letterario “Attraverso lo specchio” di Lewis Carrol che narra le avventure di Alice, in cui la bambina varcata questa soglia dello specchio si trova catapultata in un mondo in cui leggi fisiche risultano rovesciate rispetto al mondo ordinario. 

Borges, lo specchio come duplicatore del mondo 

“Gli specchi, e la copula, sono abominevoli, perché moltiplicano il numero degli uomini”. 

Giovanni Papini, Lo specchio che fugge 

“Uomini, noi perdiamo la vita per la morte, noi consumiamo il reale per l’immaginario, noi valutiamo i giorni sol perché ci conducono a giorni che non avranno altro valore che di portarci altri giorni simili a loro… Uomini, tutta la vostra vita è un atroce frode che voi stessi ordite a vostro danno e soltanto i demoni possono ridere della vostra corsa verso lo specchio che fugge!”. Borges considerava Papini uno scrittore di grande valore ritenendo che fosse stato ingiustamente dimenticato dalle patrie lettere.

Nella sua antologia della letteratura fantastica pubblicata nel 1940 curata insieme a Silvina Ocampo, l’unico racconto italiano presente, Il gentiluomo malato, è stato scritto proprio da Giovanni Papini.In questo racconto “Lo specchio che fugge” lo scrittore fiorentino ci dice che l’uomo sacrifica tutto il presente al futuro, spende ogni sua risorsa in vista dello stesso, ogni atto che compie lo prefigura, tuttavia quel che si vive è solo il presente e l’uomo spera sogna che possa assomigliare quanto più possibile a questo futuro che esiste solo come vagheggiamento, astrazione, meta ideale.

Questa tensione continua verso il non ancora, fa sì che il presente venga vissuto solo come un avanzare verso qualcosa, il futuro, che tuttavia non sarà mai raggiungibile, se non come aspirazione, desiderio, proiezione, attesa. Lo scarto di questa distanza non diverrà mai colmabile. Il futuro come un’isola che non raggiungeremo: lo possiamo avvistare col binocolo e in alcuni momenti può sembrare davvero molto vicino, ma non vi sbarcheremo mai e quindi rimarrà sempre l’isola che non c’è. E dunque questo futuro non è altro che uno specchio in cui l’uomo vede la propria vita che sfugge.

Marco Troisi

Redazione
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Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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