L’inferno di una madre: «Mio figlio deve pagare»
«Non perdono mio figlio, se ha fatto quello che ha fatto deve pagare. Per me merita l’inferno». Con queste parole Nicolina Giacheddu, madre di Emanuele Ragnedda, rompe il silenzio davanti ai giornalisti accorsi nella tenuta Conca Entosa, ad Arzachena. Il figlio, noto imprenditore del settore vinicolo, ha confessato di aver ucciso a colpi di pistola Cinzia Pinna, giovane donna di 33 anni originaria di Castelsardo. Una tragedia che ha sconvolto la Sardegna e che, nonostante la confessione, presenta ancora molti lati oscuri.
Chi era Cinzia Pinna e perché è stata uccisa?
Gli inquirenti cercano di ricostruire la dinamica di quella notte tra l’11 e il 12 settembre, quando il corpo di Cinzia è stato ucciso e poi nascosto all’interno della proprietà dell’imprenditore. La donna, benvoluta in paese e con tanti amici, sarebbe stata colpita da Ragnedda in circostanze ancora da chiarire. Perché proprio lei? E quali rapporti la legavano all’imprenditore? Gli investigatori lavorano per dare risposte a una comunità sconvolta.
Il dolore di una madre che rinnega il figlio
Nicolina Giacheddu non usa mezzi termini: «A mio figlio non intendo dire niente, solo Dio può parlare con lui. Gli ho dato il libero arbitrio, ma non significa che fosse autorizzato a uccidere una ragazza, un bambino o un animale. Ha trasformato un luogo che era il paradiso in un inferno». Un dolore doppio, quello di una madre che si trova a piangere la vittima e a condannare pubblicamente il proprio figlio.
Le indagini: sopralluoghi e accertamenti forensi
Nelle scorse ore, un nuovo sopralluogo si è tenuto nella tenuta Conca Entosa. Il pool di esperti nominati dalla Procura di Tempio, guidata dal pm Noemi Mancini, ha raccolto ulteriori elementi per chiarire le fasi del delitto e il successivo occultamento del cadavere. Intanto, a Sassari, è prevista l’autopsia sul corpo di Cinzia Pinna per stabilire con precisione le cause della morte.
Il ruolo di Rosa Maria Elvo
Un tassello ancora controverso riguarda Rosa Maria Elvo, ristoratrice di San Pantaleo e amica di Ragnedda, indagata per favoreggiamento. L’imprenditore, dal carcere di Bancali, ha sostenuto che la donna non abbia avuto alcun ruolo nell’occultamento del corpo. Tuttavia, gli inquirenti non escludono che possa averlo aiutato a ripulire la scena del crimine o a disfarsi di alcuni effetti personali della vittima. Un nodo investigativo che resta aperto.
La comunità tra sgomento e rabbia
A Castelsardo e ad Arzachena il clima è di profondo turbamento. Amici e conoscenti di Cinzia ricordano il suo sorriso e la sua disponibilità. Allo stesso tempo, cresce la rabbia per una vita spezzata troppo presto e per un omicidio che appare ancora inspiegabile.
Una vicenda che interroga tutti
Il caso Ragnedda non è solo cronaca nera. È il dramma di una madre che arriva a rinnegare il proprio figlio, di una comunità che cerca giustizia e di un sistema investigativo chiamato a fare chiarezza. Sullo sfondo, resta il dolore per la vita interrotta di Cinzia Pinna, simbolo di una ferita ancora aperta per tutta la Sardegna.