Sinner trionfa a ViennaSinner trionfa a Vienna

Torino lo accoglie, l’Italia interroga il suo campione

È una mattina gelida in Piemonte quando Jannik Sinner varca l’ingresso dell’Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo. Prima delle racchette, dei flash e dei riflettori delle ATP Finals, c’è il silenzio di corsie bianche e vite sospese. Lui sorride, stringe mani, ascolta. E davanti a medici e pazienti, invece di parlare di titoli, sceglie di parlare di identità:
“Sono orgoglioso di essere italiano. Felice di essere nato in Italia e non in Austria. Questo Paese merita molto più di quello che sto facendo io.”

Torino lo attende per difendere il titolo conquistato un anno fa. Ma il suo arrivo ha il sapore di qualcosa di più grande: un ritorno, ma anche una dichiarazione.


La ferita Davis: “Non ho dubbi, è stata la scelta giusta”

Le critiche per la rinuncia alla Coppa Davis sono ancora fresche. L’accusa: aver preferito sé stesso alla maglia azzurra. Sinner risponde senza tremare:
“A fine stagione una settimana fa la differenza. Per prevenire infortuni, per preparare l’anno. Non ho avuto dubbi: era la decisione giusta.”
Poi aggiunge un dettaglio che pesa:
“L’anno scorso non avevo giocato Parigi e l’ho fatta perché l’avevo promessa a Berrettini.”

È consapevole delle delusioni, ma anche della forza della squadra azzurra: “Abbiamo un gruppo incredibile anche senza di me, ma nessuno ne parla.” Una difesa, sì, ma anche un monito.


Tra solidarietà e tecnologia: Sinner a Candiolo

Da Candiolo parte l’edizione 2025 di Un Ace per la Ricerca. Per ogni ace delle Finals: 100 euro donati dall’Intesa Sanpaolo, che diventano 500 in semifinale e 1.000 in finale.
Davanti a macchinari salvavita finanziati dalle donazioni, Sinner resta in silenzio, gli occhi sgranati: “Incredibile. Mamma mia.”

Accanto a lui Allegra Agnelli, presidente della Fondazione, medici, ricercatori e malati. Quando lo ringraziano, lui abbassa lo sguardo: “Io gioco solo a tennis. Voi fate un lavoro straordinario.”
Fuori, i tifosi lo aspettano ore al freddo. Lui non tira dritto: autografi, selfie, una carezza a un bambino con una pallina in mano.


Allenamenti, musica e una città che trattiene il respiro

Nel frattempo, il Circolo della Stampa Sporting si anima. Andrea Vavassori è già in campo per i primi palleggi. Con lui Simone Bolelli per il doppio, mentre dall’altra parte della rete spunta Christian Harrison.
Taylor Fritz e Ben Shelton arrivano quasi in punta di piedi: sorrisi veloci, cuffie nelle orecchie, nessuna parola fuori posto.

Torino si veste di luci e musica: Achille Lauro, The Kolors, Fiorella Mannoia, Michielin, Morandi. I Music Break entreranno negli scambi tra un set e l’altro, come una colonna sonora sospesa.

Sinner, sui social della FITP, saluta semplice:
“Sono appena arrivato a Torino. Non vedevo l’ora. Ora lavoro e ci vediamo presto in campo.”


Un’Italia diversa, una stessa bandiera

Lui che arriva da Sesto Pusteria, terra di confine, lo dice chiaro: “Alto Adige, Sicilia… siamo diversi. Ma è la nostra forza.”
Parole che raccontano più di una polemica, più di una partita: raccontano un ragazzo di 23 anni che, tra premi e responsabilità, non ha paura di dire da dove viene e cosa sente.

Tra gli spalti del Pala Alpitour, tra cori e silenzi, Torino attende la sua risposta. Non solo con la racchetta.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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