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Neuralink di Musk, Il chip impiantato nel cervello umano: ‘Prossime settimane determinanti’

Impiantato il primo chip wireless nel cervello umano realizzato dall’azienda Neuralink di Elon Musk. Lo ha annunciato lo stesso miliardario rendendo noto che i risultati iniziali dell’intervento sono positivi: sono stati rilevati, infatti, picchi neuronali o impulsi nervosi promettenti e il paziente sta bene.

L’obiettivo dell’azienda di Musk è connettere il cervello umano ai computer e aiutare le persone in condizioni neurologiche difficili. Non si tratta però di una prima assoluta perché diverse aziende rivali hanno già impiantato dispositivi simili. Elon Musk ha ottenuto il permesso di testare il chip sugli esseri umani dalla Fda a maggio dopo aver avuto, in passato, difficoltà per ottenere l’approvazione. 

Sul primo impianto di un chip nel cervello di un essere umano Neuralink -non c’è al momento una pubblicazione scientifica e occorre quindi cautela prima di pensare ad applicazioni per la cura di malattie neurologiche: lo rileva in una nota Paolo Maria Rossini, direttore del dipartimento di Neuroscienze e neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele di Roma.

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“L’annuncio dell’impianto cerebrale su di un essere umano è interessante, ma l’entusiasmo che ha suscitato è per ora poco motivato”, osserva. Al momento, prosegue, “sappiamo solo che il paziente si sta riprendendo bene dall’intervento e che i contatti tra microelettrodi e neuroni sono funzionanti”. Di conseguenza “le prossime giornate e settimane saranno determinanti per comprendere se e quanto questo tipo di approccio potrà dare le risposte paventate”.

Cauto Paolo Maria Rossini dell’Ircss San Raffaele di Roma: ‘Al momento non c’è pubblicazione scientifica’

Rilevando che “non è mai facile commentare una notizia scientifica che non sia stata pubblicata su una rivista di settore con tutte le informazioni e i dettagli del caso”, Rossini dice che “numerosi tentativi precedenti sono stati fatti con un approccio simile da un punto di vista teorico”.

Nell’esperimento della Neuralink “si dovrà verificare quante volte il comando inviato dal paziente viene interpretato in modo corretto dall’apparecchio e viene quindi eseguito con efficacia e quanti errori e di quale portata (anche in termini di rischio) esso compie. Si dovrà verificare la durata della bontà del contatto nel tempo perché attorno alla punta degli elettrodi si crea una reazione fibrosa che ne diminuisce l’efficacia”.

Si dovrà anche “valutare poi il rischio di interferenze con le onde elettromagnetiche emesse da comuni apparecchiature e che riempiono oggi l’ambiente di una casa normale” e “verificare se la presenza di microelettrodi inseriti in corteccia induca una irritazione dei neuroni penetrati dagli elettrodi con relativo aumento del rischio di epilessia”.

‘Prematuro utilizzare questo tipo di approccio per i pazienti colpiti da stroke e Parkinson’

Secondo l’esperto “pensare già oggi di utilizzare questo tipo di approccio in casistiche estese e in patologie di grandi numeri come i pazienti colpiti da stroke, da Parkinson e addirittura da malattie psichiatriche è non solo molto prematuro, ma fuorviante perché induce speranze del tutto immotivate in malati e famiglie già troppo provati dalle loro condizioni”. 

Redazione
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Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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