Gaetano Maranzano e Paolo TaorminaGaetano Maranzano e Paolo Taormina

La confessione dopo l’arresto: “L’ho colpito, mi aveva mancato di rispetto”

Ha parlato a lungo, davanti ai carabinieri del Comando provinciale di Palermo, Gaetano Maranzano, 28 anni, originario del quartiere Zen e con precedenti per rissa e droga. È lui che avrebbe ammesso di avere ucciso, la scorsa notte, Paolo Taormina, 21 anni, nel pieno della movida palermitana, a pochi passi dal Teatro Massimo.

L’omicidio è avvenuto in una piazza affollata, tra locali e giovani che affollavano il centro cittadino. Secondo la prima ricostruzione, Maranzano avrebbe riconosciuto la vittima nel corso di una rissa, ricordando vecchie tensioni legate a presunte avances di Taormina nei confronti della sua fidanzata. “L’ho visto, l’ho riconosciuto. L’ho colpito alla testa”, avrebbe detto durante l’interrogatorio.

Un racconto che ora gli investigatori stanno cercando di verificare. Restano infatti da chiarire diversi punti della dinamica e soprattutto l’origine dell’arma utilizzata. Gli inquirenti non escludono che l’omicidio sia maturato in un contesto più complesso, legato a frizioni personali e ambientali.


Le indagini e le immagini della videosorveglianza

A incastrare Maranzano sono state soprattutto le immagini degli impianti di videosorveglianza, analizzate dal Nucleo operativo della Compagnia di Piazza Verdi e dal Nucleo Investigativo di Palermo, coordinati dalla Procura della Repubblica.
I filmati mostrerebbero la sequenza della rissa scoppiata davanti a un locale molto frequentato. Dopo pochi secondi, la fuga di alcuni ragazzi e la vittima a terra, colpita mortalmente.

Il 28enne è stato rintracciato all’alba, a casa della sua compagna nel quartiere Cruillas. Non ha opposto resistenza all’arresto. Secondo alcune testimonianze raccolte dagli inquirenti, il giovane sarebbe apparso “confuso ma lucido” e avrebbe confermato più volte di essere stato coinvolto nella lite degenerata in omicidio.


Chi è Gaetano Maranzano, il presunto killer dello Zen

Gaetano Maranzano è un volto conosciuto nei quartieri popolari di Palermo. Sul suo profilo TikTok, che nelle ultime ore ha superato le 30 mila visualizzazioni, appaiono video e fotografie in cui indossa collane d’oro con pendenti a forma di pistola e fucile.

In uno degli ultimi post, un sottofondo sonoro inquietante: una voce dice “Tu mi arresti… e per che cosa? Per l’omicidio di Michele Navarra”, una frase tratta da un film sulla mafia.

Immagini che oggi assumono un significato sinistro. Tra i contenuti pubblicati ci sono anche foto con la figlia piccola, che avrebbe compiuto un anno proprio in questi giorni: la bambina tiene in mano un ciondolo a forma di revolver, quello che il padre portava sempre al collo.

Un racconto visivo che intreccia quotidiano e ostentazione, amore e violenza, e che oggi diventa oggetto d’interesse anche per gli inquirenti, impegnati a capire se quel mondo social abbia avuto un ruolo nella costruzione di una identità pubblica “da duro”.


Lo sgomento del quartiere e la scena dell’arresto

Allo Zen, dove Maranzano è cresciuto, la notizia dell’arresto è stata accolta con stupore e tensione. “Non potevo applaudire – racconta un residente – ma dentro di me dicevo bravi ai carabinieri. È stato terribile vedere gli amici che gli mandavano baci mentre lo portavano via. Una scena da film.”

Le sirene hanno squarciato il silenzio dell’alba, mentre nel quartiere cresceva la folla dei curiosi.
Un contrasto doloroso tra la quotidianità di un quartiere difficile e la brutalità di una morte che ha sconvolto l’intera città.


Palermo tra dolore e riflessione

La morte di Paolo Taormina, 21 anni appena, studente e lavoratore, ha riacceso a Palermo un dibattito profondo: quello sulla banalizzazione della violenza e sulla deriva social che spesso trasforma la rabbia in spettacolo.

Un’altra vita spezzata per un gesto impulsivo, un’altra notte di sangue che lascia domande senza risposta.
Palermo si risveglia ancora una volta ferita, ma decisa a non assuefarsi all’odio. E a ricordare Paolo, non come una vittima qualsiasi della cronaca, ma come l’ennesimo volto di una generazione che chiede rispetto, giustizia e futuro.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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