Raffaella Ragnoli, la Corte d’Appello riduce la pena: da ergastolo a 18 anni per l’omicidio del marito
La Corte d’Assise d’Appello di Brescia ha ribaltato in parte la condanna inflitta in primo grado a Raffaella Ragnoli, riconoscendole le attenuanti generiche e riducendo la pena da ergastolo a 18 anni di reclusione.
Una decisione che tiene conto dello stato di stress cronico e delle vessazioni subite per anni dal marito, Romano Fagoni, con cui la donna aveva vissuto un matrimonio segnato da alcol, aggressività e tensioni familiari.
Perché la Corte ha ridotto la pena?
I giudici bresciani hanno accolto la richiesta di concordato tra accusa e difesa, riconoscendo che la donna, pur avendo compiuto un gesto estremo, viveva da tempo in un clima di sopraffazione psicologica e paura.
Secondo il sostituto procuratore generale Domenico Chiaro, “Raffaella Ragnoli era schiacciata dal peso di una convivenza distruttiva”. Il marito, reduce da un ricovero per problemi cardiaci, alternava momenti di depressione a scatti d’ira, spesso alterato dall’alcol. L’uomo spesso si scagliava contro il figlio accusandolo di essere poco virile.
La donna, madre di due figli, non lo aveva mai denunciato, ma la sera del 28 gennaio 2023, tutto è precipitato. Una discussione nata a tavola, davanti ai cartoni della pizza, è degenerata nel sangue.
La notte del delitto: “Provaci, vediamo se hai il coraggio”
Secondo la ricostruzione, Fagoni, dopo aver bevuto, avrebbe impugnato un coltello e minacciato il figlio.
Raffaella Ragnoli accese la registrazione del cellulare, testimoniando in diretta gli attimi che precedettero la tragedia.
“Provaci, vediamo se hai il coraggio”, gli disse. Pochi secondi di silenzio, poi il vuoto nella registrazione. Quando l’audio riprende, Fagoni è già a terra, colpito da 32 coltellate.
Il figlio, testimone diretto, grida: “Papà non mi avrebbe mai fatto male. Ora tu andrai in carcere”.
La madre, in stato di shock, risponde: “L’ho fatto per voi, per liberarvi”.
La ricostruzione dei giudici e l’errore del primo processo
In primo grado, la Corte aveva visto nel “buco” della registrazione un segno di premeditazione, condannando Ragnoli all’ergastolo.
In appello, però, i giudici hanno ritenuto infondata l’ipotesi di dolo preordinato: la donna, già in passato, aveva registrato le sfuriate del marito per documentare le violenze subite.
Il procuratore Chiaro ha sottolineato che “non c’è prova che Raffaella abbia spento apposta il telefono per creare una messa in scena di legittima difesa”.
Le nuove valutazioni hanno portato a una svolta: l’ergastolo era eccessivo, vista la lunga storia di abusi domestici e stress psicologico.
L’abbraccio dei figli e la fine di un incubo
Alla lettura della sentenza, i figli di Raffaella, Riccardo e Romina, l’hanno abbracciata a lungo in aula. Anche il sostituto pg si è avvicinato alla donna per stringerle la mano.
“Meritava le attenuanti, non l’ergastolo”, hanno dichiarato i difensori, che da tempo sostenevano la tesi della reazione esasperata dopo anni di paura.
Raffaella Ragnoli, oggi 58 anni, rimarrà in carcere per scontare la nuova pena, ma la sentenza rappresenta una rilettura umana e giuridica del suo gesto.
Un delitto maturato tra muri domestici e silenzi familiari, che riapre il dibattito sul confine tra sopravvivenza e giustizia.