Liliana Resinovich, Visintin racconta il disagio interiore a Quarto Grado dopo l’accusa di omicidio
«Quel sabato mattina, ascoltando la radio, sono venuto a sapere che la Procura sosteneva che io avessi ucciso mia moglie». La voce di Sebastiano Visintin è rotta, carica di emozione. A Quarto Grado, nella puntata andata in onda venerdì 30 maggio, l’uomo ha ricostruito per la prima volta pubblicamente il momento in cui ha appreso di essere accusato dell’omicidio di Liliana Resinovich.
‘Quando ho sentito la notizia dentro di me si è scatenato il caos’
«Sono rimasto paralizzato, poi sono andato in salotto ed ho acceso la televisione. Ovunque si parlava di me. Era come se il mondo si fosse capovolto all’improvviso, come se stessi vivendo un incubo. Non riuscivo a crederci. Ho provato a cercare un senso, ma dentro di me si è scatenato il caos».
Per Visintin, quel giorno ha segnato un punto di non ritorno. Il dolore per la scomparsa della moglie si è mescolato all’angoscia, alla paura, al senso di colpa indotto da una verità che – ribadisce – non gli appartiene. «Ho ripercorso mentalmente le tappe fondamentali della mia vita con Liliana. E mentre lo facevo, il sangue si è gelato. Mi sentivo perduto. A un certo punto ho pensato anche di farla finita. Di buttarmi dal monte, oppure di andare al molo Audace e lasciarmi cadere in acqua. Non avevo più interesse per questa vita. Avevo perso tutto: mia moglie e la mia dignità».
Ore buie, quelle, che l’uomo definisce «tremende, terribili». Un isolamento profondo, psicologico prima ancora che fisico. Ma poi qualcosa è cambiato. Uno spiraglio è arrivato da chi gli è rimasto accanto, malgrado tutto. «Mi sono sentito con i miei avvocati, che mi hanno subito manifestato vicinanza. In quel momento la loro voce è stata fondamentale, mi ha aiutato a non crollare del tutto. Mi batteva il cuore fortissimo, non riuscivo a fermare le lacrime. Mi sentivo quasi un mostro, e non riuscivo a capire come fossimo arrivati a questo punto».
‘Ho pensato che dovevo lottare per dimostrare che non c’entravo nulla con la morte di Lilly’
Un altro nome emerge, quello di Alice Bevilacqua. Una presenza che per Visintin è stata determinante. «Le sue parole mi hanno dato forza. Mi hanno fatto capire che dovevo reagire. Che dovevo lottare per dimostrare che io non c’entravo nulla con la morte di Lilly. E allora ho deciso di salire in montagna, in uno dei luoghi dove eravamo stati insieme. Quasi 1900 metri. È lì, tra le rocce, l’aria rarefatta e il silenzio, che ho ritrovato un po’ di lucidità. Un po’ di me stesso».
L’intervista prosegue con un’altra questione che è tornata più volte nelle cronache legate al caso: i coltelli. Oggetti che hanno alimentato sospetti e insinuazioni, ma che Visintin rivendica come parte di una passione innocua. «Lavoro i coltelli da anni. Li preparo a mano e li regalo agli amici, di solito per i compleanni.».
Un racconto che lascia spazio a molte domande, ma che offre anche uno squarcio umano in una vicenda che ha sconvolto Trieste e l’Italia intera. «Liliana era la mia compagna, la mia famiglia. La sua morte mi ha devastato».