La Procura di Verona indaga per strage, venerdì 17 ottobre i funerali dei tre carabinieri
È strage l’accusa ipotizzata dalla Procura di Verona per i tre fratelli Franco, Dino e Maria Grazia Ramponi, ritenuti responsabili della devastante esplosione che lo scorso lunedì ha distrutto una casa di Castel d’Azzano (Verona), causando la morte di tre carabinieri dei reparti speciali: il brigadiere Valerio Daprà (56 anni), il carabiniere scelto Davide Bernardello (36) e il luogotenente Marco Piffari (56).
Ventisette tra militari, poliziotti e vigili del fuoco sono rimasti feriti, alcuni in modo grave.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, i fratelli Ramponi avrebbero preparato da tempo un piano suicida e distruttivo, costruendo bottiglie molotov e disseminando la casa di bombole di gas. Quando le auto delle forze dell’ordine sono arrivate per eseguire una perquisizione, la casa era già una trappola pronta a esplodere.
La casa-fortino e il blitz all’alba
L’abitazione dei Ramponi era da tempo sorvegliata: finestre con inferriate, imposte sprangate, bombole accatastate, ingressi sbarrati.
Il blitz dei reparti speciali dei carabinieri è scattato poco prima dell’alba, dopo che numerosi tentativi di sgombero erano falliti e uno dei fratelli, in passato, si era cosparso di benzina minacciando di darsi fuoco e di far saltare tutto in aria.
Circa trenta gli uomini impegnati: mentre i carabinieri circondavano l’edificio, gli agenti dell’Uopi, unità specializzata in azioni antiterrorismo, sono saliti sul tetto dove hanno trovato due molotov pronte all’uso.
Non hanno avuto il tempo di entrare. Un boato assordante li ha travolti.
La miccia e la deflagrazione
Le indagini hanno rivelato nuovi e inquietanti particolari: a innescare la miccia sarebbe stata Maria Grazia, l’unica rimasta nella casa, mentre i fratelli Dino e Franco si erano nascosti in una cantina attigua alla cascina, avvertiti del piano.
L’esplosione, preceduta da un sibilo — lo svuotamento delle bombole — e da un intenso odore di gas, ha fatto crollare l’edificio, spazzando via tutto ciò che si trovava nei dintorni.
Intonaci, tegole, mattoni e frammenti metallici sono stati proiettati a decine di metri, come proiettili. Le fiamme si sono propagate in pochi secondi.
Secondo gli investigatori, Maria Grazia Ramponi avrebbe assunto il ruolo di “capofamiglia” e convinto i fratelli a uscire dalla casa poco prima dell’esplosione, decisa a “immolarsi” in un gesto estremo. Ma la deflagrazione non l’ha uccisa: è rimasta ferita e urlava frasi sconnesse tra le macerie quando i militari, nonostante i traumi, l’hanno soccorsa e affidata ai sanitari.
I soccorsi e la cattura
I vigili del fuoco hanno recuperato cinque bombole di gas svuotate e resti di altre ridotte in briciole.
Sul posto sono confluiti tutti i carabinieri di Verona e Villafranca, oltre a otto pattuglie impegnate nei controlli notturni, per un totale di oltre cento uomini.
Dino Ramponi è stato bloccato poco dopo nei pressi della casa, mentre Franco ha tentato la fuga nei campi: è stato individuato e immobilizzato in un prato poco distante grazie a una manovra “a tenaglia”.
Ora i due si trovano in carcere in attesa dell’interrogatorio di garanzia, mentre Maria Grazia è piantonata in ospedale.
Lutto nazionale e funerali di Stato
La Procura di Verona, guidata da Raffaele Tito, ha autorizzato i funerali di Stato che si terranno venerdì 17 ottobre alle 16.00 nella Basilica di Santa Giustina a Padova, alla presenza delle più alte cariche dello Stato.
La camera ardente sarà aperta domani nella sede della Legione Veneto dei Carabinieri.
Un’intera comunità — e con essa l’Arma — piange tre servitori dello Stato caduti mentre tentavano di riportare la pace in una casa divenuta, tragicamente, un campo di battaglia.