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La buona tavola e la letteratura: un connubio indissolubile

Ogni anno a San Silvestro consumiamo tonnellate di cibo per imbandire le nostre tavole. Questa ricorrenza ci dà l’occasione per esplicitare una riflessione sul rapporto tra vita e cibo cibo e vita che si compenetrano in un connubio indissolubile. Non si contano le espressioni che rapportano la nostra quotidianità alle qualità del cibo che ne diviene misura, pietra di paragone, i cui significati si estendono in usi figurati che trascendono la loro semantica d’origine.

Basti pensare alle espressioni il sale della vita, mangiare con gusto, ai verbi assaporare, assaggiare, delibare, agli aggettivi luculliano, pantagruelico tratti da aneddoti e opere letterarie, riferimenti cannibalistici in frasi d’uso comune quali l’ho letteralmente divorato, lettore onnivoro, ed ancora motti proverbiali quali in vino veritas, il vino fa buon sangue, mettere a pane e acqua, cercare il pelo nell’uovo, rendere pan per focaccia, chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane, non è tutta farina del proprio sacco. Seguitando su questo piano, ricordate quando a scuola se ripetevamo le cose a pappardella, altra metafora culinaria, la professoressa ci rimbrottava? oppure delle due l’una sceglievamo quella sbagliata e ci cantilenava se non è zuppa è pan bagnato?

Ed ancora la sapienza proverbiale trasfusa alla culinaria si deposita in espressioni quali pane al pane vino al vino, acqua in bocca, non si piange sul latte versato, gallina vecchia fa buon brodo, tutto fumo niente arrosto, troppa carne al fuoco, rompere le uova nel paniere, camminare sulle uova, andare in brodo di giuggiole, cavar sangue da una rapa, come i cavoli a merenda, hai poco sale in zucca, siamo alla frutta, il frutto non cade mai lontano dall’albero, fare le nozze coi fichi secchi, la ciliegina sulla torta, che pizza per esprimere noia, ma è anche vero che non di solo pane vive l’uomo.

Una immagine icastica relativa all’indulgere ai piaceri della tavola la reperiamo ne Il paese della cuccagna, tela di Bruegel che ritrae degli uomini satolli e intorpiditi dalle gozzoviglie che cercano il conforto del sonno. Non vi è dubbio che tra i piaceri della vita il cibo sia uno dei maggiori, se non forse proprio il maggiore. L’amore materno manifesta tangibilmente questo legame indissolubile tra cibo e vita.

Mangiare fino a saziarsi: un’utopia lunga secoli 

La memoria atavica delle carestie, che per secoli hanno attraversato la storia dell’uomo, ha ingenerato suggestioni utopistiche elaborate in guisa letteraria secondo il motivo, il topos, il locus amoenus, il mito anche del Paese di Bengodi, l’albero della Cuccagna, dove gli alberi producono da sé i frutti e nei fiumi i pesci abboccano spontaneamente all’amo. Si leggano in proposito Luciano di Samosata, Giovanni Boccaccio, Francois Rabelais, Teofilo Folengo e tornando a tempi più recenti i saggi di Piero Camporesi.

I luoghi idilliaci, proiezione dell’immaginario collettivo, abbondano di terre feraci che producono da sé i frutti senza che l’uomo debba sobbarcarsi di alcuna fatica. Un mondo di delizie, così contrario a quello quotidiano di stenti e penurie, in cui l’uomo proietta un suo ideale di piacere. Ci si immagina così paesi, elisi, paradisi perduti, fiumi in cui scorrono latte e miele contrapposti al paese reale della fame e della miseria, delle colture che richiedono biblicamente il sudore della fronte per strappare alla terra i suoi avari frutti.

Tale è l’inscindibilità del rapporto tra cibo e vita che ad esempio nel mondo greco, in quei rari casi in cui era concesso all’uomo di peregrinare ancora vivo nelle tenebre dell’Ade onde ottenerne vaticini, la memoria dei morti e quindi il ricordo delle dolci cose della vita, poteva ridestarsi solo dando loro da bere del sangue proveniente da un animale sgozzato. 

Nel Satyricon Petronio descrive la cena Trimalchionis, la cena di Trimalcione. Costui è un liberto, un servo arricchito che ostenta le sue fortune ammanendo ai commensali vivande pasticciate l’una nell’altra.

Ma il cibo quando diventa piacere smodato è un peccato capitale, la gola. Dante, pienamente interprete della cultura medievale del suo tempo, colloca i golosi nel III cerchio dell’Inferno, da cui emerge Ciacco che per la “dannosa colpa della gola” si dimena e si insudicia nella fanghiglia assieme agli altri golosi. 

Vegetariani e golosi: due modi a confronto di approcciarsi al cibo 

Qualcuno sosteneva che l’uomo è ciò che mangia, ed in effetti è innegabile che portare il cibo alla bocca significa incorporare particelle dell’universo, assumere e assimilare il cosmo con un boccone. D’altronde riguardo al cibo si sono affermate nel corso dei secoli plurimi atteggiamenti e pratiche di vita: vi è chi digiuna per purificare il corpo quale ascesi penitenziale a imitazione degli eremiti o anche solo per motivi salutistici considerando che la scienza moderna vi riconnette dei benefici, e chi invece ha esaltato al massimo il piacere del cibo, come i gaudenti di ogni tempo.

Per dire quanto il cibo sia occasione conviviale, si pensi ai dialoghi platonici che si iscrivono dentro la cornice di un simposio in cui i filosofi convitati discorrono senza disdegnare di accompagnarsi al buon vino.

I vegetariani intendono l’atto del mangiare qual in effetti è, ovvero un atto cannibalesco perché si introduce nelle proprie viscere la carcassa di un altro essere vivente, come già notava Pitagora, Seneca, Plutarco ed altri ancora. D’altronde è proprio la natura a prevederlo ed esigerlo. Alle elementari le maestre ci hanno insegnato che questa è la catena alimentare.

Il goloso invece fa del cibo un piacere solo per sé, rapinoso, assoluto, solipsistico, che esclude gli altri. Il cibo diventa quindi non più un piacere condiviso, ma solitario, egoistico, che separa e ci separa dagli altri.

Cibo e salute: il rischio obesità

Gli eccessi alimentari preludono all’obesità, che in alcune aree d’Italia, raggiunge percentuali molto elevate. In Campania ad esempio vi è il triste primato di obesità infantile, che ha un’incidenza superiore rispetto a tutte le altre regioni. In certe regioni quindi anche l’educazione alimentare, supplendo alle carenze educative delle famiglie, meriterebbe di rientrare quale materia di insegnamento nei programmi scolastici. 

Preparare un piatto: una lezione filosofica 

Per addentrarci nella cultura di un popolo, è fondamentale indagarne a fondo gli usi e costumi anche in tema di cucina. La preparazione di un piatto in effetti può cogliersi anche come un’operazione filosofica se vogliamo, in quanto il risultato finale è la somma virtuosa di ingredienti che vanno combinati secondo le giuste proporzioni, quasi come una sorta di pietra filosofale, che prevede un equilibrio perfetto per raggiungere un effetto ottimale in termini di gusto e bontà del piatto stesso. 

La tavola imbandita: chi vuol essere lieto, sia

Il cibo, dicevamo a proposito della convivialità, è anche un modo di stare insieme, di affiatare piacevolmente il proprio tempo con parenti, amici. Ed eccoci, dimentichi degli affanni della quotidianità, indugiare piacevolmente in compagnia delle persone a cui vogliamo bene davanti alla tavola imbandita in un giorno di festa, istante felice sottratto alla fuga irreparabile del tempo, dono di cui possiamo solo essere grati se una sorte benevola lo concede. 

Non di solo pane vive l’uomo 

Il cibo nutre il corpo, soddisfa i bisogni essenziali. D’altronde è più facile riempire lo stomaco che altro. Si può morire di fame, ma anche i digiuni dell’anima possono farci smagrire giorno dopo giorno. Per colmarli abbiamo bisogno del cibo per la mente, di nutrirci di relazioni affettive, amicizie amori, significative. Quando questi mancano, la solitudine allunga la sua ombra sulla vita e il cibo non ci allegra più, diventa surrogato, compensazione. 

Furto in una pasticceria, Calvino da “Ultimo viene il corvo” 

In un bel racconto di Calvino che si intitola “Furto in una pasticceria”, tratto da “Ultimo viene il corvo”, un ladro col suo complice scardina la saracinesca di una pasticceria. Una volta menati dentro, vi indugia preso dal piacere delle paste che trangugia ad una ad una, incurante del suo sodale che lo sollecita ad affrettarsi, rischiando di farsi arrestare. 

‐ C’è pieno di dolci, qui! ‐ disse Gesubambino come se l’altro non lo sapesse.

‐ Non è tempo di dolci, _ fece il Dritto, scansandolo, ‐ non c’è tempo da perdere ‐.

E andò avanti rimestando nel buio col bastone di luce della lampadina. E in ogni punto che illuminava scopriva file di scaffali e sopra gli scaffali file di vassoi e sopra i vassoi file di paste allineate di tutte le forme e di tutti i colori e torte cariche di creme che stillavano come cera da candele accese, e batterie schierate di panettoni e muniti castelli di torroni.

Allora uno sgomento terribile s’impadronì di Gesubambino: lo sgomento di non avere il tempo di saziarsi, di dover scappare prima d’aver assaggiato tutte le qualità di dolci, d’avere sottomano tutta quella cuccagna solo per pochi minuti in vita sua.

E più dolci scopriva più il suo sgomento aumentava, e ogni nuovo andito, ogninuova prospettiva del negozio che appariva illuminata dalla pila del Dritto, gli si parava dinanzi come per chiudergli ogni strada.

Si buttò sugli scaffali ingozzandosi di paste, cacciandone in bocca due, tre per volta, senza nemmeno sentirne il sapore, sembrava lottasse con i dolci, minacciosi nemici, strani mostri che lo stringevano d’assedio, un assedio croccante e sciropposo in cui doveva aprirsi il varco a forza di mandibole. I panettoni mezzo tagliati aprivano fauci gialle e occhiute contro di lui, strane ciambelle sbocciavano come fiori di piante carnivore; Gesù bambino ebbe per un momento la sensazione che sarebbe stato lui a esser divorato dai dolci.

Marco Troisi

Redazione
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Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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