Arianna PettiArianna Petti

Dalla manipolazione digitale alla paralisi quotidiana

Da maggio la vita di Arianna Petti, 19 anni, è cambiata radicalmente. Il suo volto è stato sovrapposto su immagini di nudo costruite ad arte, poi stampate e affisse per le strade di un intero quartiere di Foggia, accompagnate da frasi oscene, il suo indirizzo e il numero di telefono.

Il risultato è una doppia violenza: digitale — per la manipolazione e la diffusione dell’immagine — e sociale, perché la giovane ora teme per la propria incolumità e ha visto compromessa la sua capacità di uscire, studiare o lavorare serenamente. In un video pubblicato sui social Arianna ha rotto il silenzio, denunciando pubblicamente l’offesa e chiedendo ai cittadini di non fotografare né condividere i volantini ma di strapparli e segnalarne la presenza.

La cornice normativa e le indagini in corso

Il caso rientra nel perimetro dell’articolo 612-ter del codice penale — la cosiddetta legge sul “revenge porn” — che punisce la diffusione non consensuale di immagini intime e tutela la dignità delle vittime. La denuncia è stata presentata alla polizia: la squadra mobile di Foggia ha aperto un fascicolo e avviato accertamenti per risalire agli autori della campagna diffamatoria. La vicenda ha attratto anche l’attenzione politica: la senatrice Annamaria Fallucchi, membro della commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, ha preso in carico il caso per valutarne le implicazioni e la necessità di interventi normativi o di controllo più stringenti sulle piattaforme e sulla stampa murale.

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Impatto psicologico, responsabilità collettiva e prevenzione

Arianna Petti racconta di notti in bianco, di evitare gli spazi pubblici, di una vergogna imposta e non scelta: sintomi tipici delle vittime di violenza digitale. Per queste persone sono fondamentali percorsi di supporto psicologico, tutela legale e strumenti pratici per la rimozione delle immagini da canali online. Al contempo, il caso mette in luce la responsabilità collettiva: condividere, anche solo per commentare, riproduce e moltiplica l’offesa. Per questo la giovane ha lanciato un appello chiaro: trovare i volantini, strapparli e denunciarli alle autorità.

Le indagini dovranno chiarire se la diffusione è frutto di un singolo gesto deliberato, di una campagna di intimidazione o di una rete di condivisione intenzionale. Sul piano preventivo, servono politiche locali per monitorare e contrastare la diffusione di materiali offensivi su strada e online, oltre a percorsi informativi nelle scuole per sensibilizzare i giovani sui rischi della condivisione di immagini e sull’importanza del consenso.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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