La decisione di uccidere Alessandro: ‘Era un pericolo per tutti’
Lorena Venier, 60 anni, non ha esitato davanti agli inquirenti: «Abbiamo premeditato l’omicidio di mio figlio Alessandro». Una frase che gela il sangue, accompagnata dal racconto di settimane di paura e dal terrore che l’uomo, violento e ossessivo, potesse coinvolgere anche la moglie Mailyn e la neonata nelle sue esplosioni di rabbia.
“L’abbiamo ucciso e smembrato: un’operazione né facile, né piacevole, nemmeno personalmente, un massacro”. La donna ha ammesso di aver acquistato su Amazon un sacco di calce, “per disinfettare e ridurre l’odore del cadavere”.
La ricostruzione del delitto
“Alessandro era supino e Mailyn ha puntato i piedi sulle sue spalle, ha messo i lacci degli scarponi intorno al collo e ha cominciato a tirare. In quel momento, mi sono allontanata perché la bambina stava piangendo e mi sono recata da lei”. É il nuovo particolare emerso dai documenti sulle imputazioni di
Lorena Venier per l’uccisione del figlio, assieme alla nuora, nella loro villetta di Gemona (Udine).
Il resto è noto: “Un blister intero di sonnifero sciolto in una limonata”, poi “due punture di insulina all’addome” perché Alessandro non si addormentava, il lungo e inutile tentativo di soffocarlo con un cuscino e infine, caduto a terra e giratosi supino, in stato soporoso con gli occhi chiusi, ma reattivo, “Mailyn ha preso due lacci di scarponi e glieli ha stretto al collo. Quando, dopo che sono tornata dall’aver accudito la bambina, abbiamo mollato i lacci, Alessandro ha continuato per qualche attimo a respirare ancora e poi non più. Erano circa le 21:30 quando è morto”.
Le minacce alla compagna: «Ti porto in Colombia e ti annegherò»
Mailyn Castro Monsalvo, giovane madre affetta da depressione post partum, sarebbe stata la vittima designata. “Alessandro non le credeva – ha detto Lorena – la accusava di fingere. La picchiava con un nerbo per animali. Le aveva promesso che, in Colombia, l’avrebbe portata nella foresta per annegarla in un fiume”.
Un quadro domestico di violenze e minacce, aggravato dal traffico illecito di armi che il giovane avrebbe intrapreso, lasciando senza lavoro stabile e senza prospettive legali. “Eravamo terrorizzate da lui, L’idea di ucciderlo si è concretizzata quando aveva acquistato i biglietti aerei, 7-10 giorni prima, per recarsi in Colombia e sfuggire a una condanna che sarebbe giunta a breve” – ha riferito agli inquirenti.
“La maggiore preoccupazione riguardava la sua pretesa di voler farsi raggiungere in Colombia, almeno 2 volte all’anno, da Mailyn e dalla neonata. Non avrei potuto intervenire in loro difesa, qualora si fossero ripetuti gli episodi di violenza”.
La notte della confessione e i tentativi di fermarla
Mailyn, oppressa dal senso di colpa, tentò due volte di rivolgersi al 112. La prima chiamata, nella notte, fu bloccata da Lorena, che riuscì a convincere gli operatori si trattasse di un malinteso. La seconda, la mattina successiva, si trasformò invece nell’autodenuncia che ha fatto crollare il silenzio.
Secondo le indagini, Lorena tentò fino all’ultimo di impedire alla nuora di confessare, richiamandola per nome e cercando di farla desistere: «Mailyn, ricordati quanto ti voglio bene».
Le registrazioni e le accuse
Gli inquirenti hanno registrato la confessione integrale di Lorena Venier, 26 minuti cristallizzati in un file audio ritenuto «pienamente utilizzabile» dal gip. Le accuse a carico delle due donne sono di omicidio volontario e occultamento di cadavere.