Viviana PagliaroneViviana Pagliarone

Viviana Pagliarone e i complici condannati dal Gip del Tribunale di Napoli

Un attentato che poteva trasformarsi in tragedia e che ha scosso profondamente la comunità flegrea e le istituzioni. A Bacoli, in provincia di Napoli, il 21 marzo 2023 un ordigno esplosivo fu piazzato nell’auto del maggiore della Guardia di Finanza Gabriele Agostini. Una deflagrazione violenta distrusse il veicolo, ma l’ufficiale riuscì miracolosamente a salvarsi.

Dopo oltre un anno di indagini, perizie e ricostruzioni, la giustizia ha individuato i responsabili. Il giudice per le indagini preliminari di Napoli, Federica De Bellis, accogliendo la richiesta della procura, ha condannato a 10 anni di reclusione Viviana Pagliarone, ex moglie del finanziere e mandante del tentato omicidio. Con lei, sono stati condannati anche i complici che hanno materialmente progettato e piazzato la bomba.


Cosa accadde quel 21 marzo 2023 a Bacoli

Era una giornata come tante quando l’auto di servizio del maggiore Agostini, una Lancia Delta, fu colpita dall’esplosione. L’ordigno era stato nascosto nel vano della ruota di scorta: un chilo di Flash Powder, una miscela altamente deflagrante, preparata per colpire con precisione.

Dopo la detonazione, tra le fiamme e la vettura bloccata da un muretto, l’ufficiale riuscì a mantenere la lucidità: forzò il finestrino e si mise in salvo, evitando la morte per un soffio. «È vivo per miracolo» commentarono quel giorno i soccorritori, rimasti impressionati dalla scena.


Perché l’ex moglie voleva ucciderlo?

Dagli atti d’indagine emerge un quadro drammatico di rancori e tensioni familiari. Viviana Pagliarone, 39 anni, romana, non aveva accettato la fine del matrimonio e la disputa sull’affidamento del figlio. Frasi come «Il mio ex marito deve morire» sono state intercettate nelle conversazioni tra lei e i complici.

Secondo i magistrati, la donna progettò l’attentato come “soluzione definitiva” alle liti giudiziarie e personali con l’ex coniuge. Una vendetta premeditata e spietata, che la giustizia ha ora punito con una condanna esemplare.


Chi erano i complici e come fu organizzato l’attentato?

Le indagini coordinate dal pm Maurizio De Marco hanno rivelato una rete criminale intorno a Pagliarone. Accanto a lei, figure chiave come Franco Di Pierno, 51 anni, di San Severo, ritenuto l’artificiere che confezionò la bomba, Ciro Caliendo, 46 anni, anche lui di San Severo, coinvolto nella logistica e nei sopralluoghi. Coinvolto nella vicenda anche Giovanni Di Stefano, nato in Germania 32 anni fa e residente a Lesina.

Fondamentali per gli inquirenti le tracce lasciate da Di Pierno: foto, sopralluoghi, celle telefoniche agganciate nella zona dell’abitazione di Agostini. Perfino un pernottamento in un hotel a 500 metri dalla casa della vittima lo collocò inequivocabilmente sul luogo del delitto.

L’ordigno fu attivato a distanza con un telecomando. Dopo l’esplosione, mandante ed esecutori si incontrarono in Abruzzo, a San Salvo Marina, per discutere dell’azione fallita.


Come si è arrivati alla condanna?

Le indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli hanno richiesto oltre un anno di lavoro, tra perquisizioni, intercettazioni e pedinamenti. Determinante l’analisi dei cellulari: nei dispositivi di Di Pierno e degli altri complici furono trovati messaggi compromettenti e immagini che li collegavano direttamente a Pagliarone.

Il processo, celebrato con rito abbreviato, ha portato a pene severe: 10 anni per Viviana Pagliarone e altrettanti per Di Pierno. Una sentenza che riconosce la gravità del reato e la freddezza con cui fu organizzato.


Quali riflessioni suscita questa vicenda?

Il caso di Bacoli apre interrogativi inquietanti sul confine tra conflitti familiari e degenerazioni criminali. Una lite per l’affidamento di un figlio si è trasformata in un attentato esplosivo, che avrebbe potuto mietere vittime innocenti.

Le parole dei magistrati sono dure: «Un piano crudele, lucido e spietato, messo in atto con modalità da criminalità organizzata».

L’episodio ha rafforzato la consapevolezza delle forze dell’ordine sulla necessità di monitorare con attenzione situazioni familiari ad alto rischio, dove il rancore può sfociare in violenza estrema.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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