La richiesta dei pm è arrivata in tarda mattinata, dopo un’udienza lunga, tesa, seguita da telecamere, cronisti e un silenzio pesante rotto soltanto dalla voce dell’accusa. Per Chiara Ferragni, imputata per truffa aggravata nel caso del Pandoro Pink Christmas e delle uova di Pasqua griffate, la procura ha chiesto un anno e otto mesi. Stessa richiesta per l’ex collaboratore Fabio Damato, mentre per Francesco Cannillo, presidente di Cerealitalia-ID, la domanda della procura è di un anno.
Volto teso, l’imprenditrice è rimasta ferma sulla stessa linea tenuta negli ultimi mesi, poche parole e nessuna deviazione. “Sono fiduciosa, non posso aggiungere altro”, ha detto particolarmente provata ai giornalisti che la attendevano fuori dall’aula. L’imprenditrice digitale, ex di Fedez, si è presentata in completo nero e nella circostanza ha sfoggiato un trucco essenziale.
L’aula, le dichiarazioni spontanee e la lunga ricostruzione
In aula, Ferragni non si è sottratta a un racconto dettagliato, che ha intrecciato la sua carriera, le sue attività imprenditoriali e molti dei progetti benefici portati avanti negli anni. Un percorso esposto, come ha sottolineato il suo avvocato Giuseppe Iannaccone, “con grande trasparenza”.
L’imprenditrice ha ricordato le raccolte fondi, tra cui quella per l’ospedale San Raffaele nel pieno della pandemia, citata come esempio del suo impegno verso iniziative sociali e sanitarie. “Tutto quello che abbiamo fatto, lo abbiamo fatto in buona fede. Non ci abbiamo mai lucrato” – è quanto, in sostanza, ha detto Chiara Ferragni nelle dichiarazioni spontanee rese all’udienza.
Nel cuore del processo, però, ci sono le partnership con Balocco e Dolci Preziosi per Natale 2022 e Pasqua 2021-2022, accordi che la procura ritiene abbiano generato un messaggio ingannevole per i consumatori, convincendoli ad acquistare prodotti più costosi perché ritenuti legati a donazioni benefiche.
Le accuse della procura e la nuova parte civile
Secondo la procura, i follower e gli acquirenti sarebbero stati ingannati attraverso comunicazioni poco chiare, capaci di generare presunti profitti illeciti per circa 2,2 milioni di euro. Su questo punto, il giudice ha ammesso la richiesta di costituzione di parte civile della Casa del Consumatore, che ha parlato di “consumatori truffati” e di un danno ancora da quantificare.
L’avvocato dell’associazione, Aniello Chianese, ha insistito su un aspetto considerato cruciale: il presunto scollamento totale tra la vendita dei prodotti e l’attività benefica. Ha spiegato che “ci sono tantissime mail che dimostrano la strategia commerciale adottata, con informazioni false che hanno portato migliaia di persone ad acquistare pensando di sostenere una causa solidale”. Ha parlato di “danni gravi”, un’espressione che è risuonata più volte nel corso della giornata.
La difesa: “Spiegheremo tutto, uscirà la verità”
Gli avvocati Iannaccone e Marcello Bana hanno continuato a sostenere con fermezza la buona fede dell’imprenditrice. “Verrà fuori la sua innocenza”, ha ribadito Bana lasciando l’aula. La strategia difensiva punta a dimostrare che l’imprenditrice non avrebbe mai avuto interesse né intenzione di costruire una comunicazione ingannevole, né tantomeno di sfruttare la beneficenza come leva commerciale.
La prossima udienza del 19 dicembre sarà dedicata alla requisitoria della difesa. A gennaio è atteso il verdetto, un momento che potrebbe chiudere – almeno sul piano giudiziario – una vicenda che ha avuto conseguenze reputazionali ed economiche enormi.

