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L’arte compromissoria della politica: promettere molto mantenere poco

Il prossimo 25 settembre gli italiani saranno chiamati alle urne per eleggere un nuovo parlamento. E’ la prima volta nella storia della Repubblica che le elezioni politiche si tengono in autunno. Sebbene di pochi mesi, anche questa legislatura scadrà prima del suo termine effettivo. Ancora una volta si conferma che nel nostro paese la governabilità è una moneta che non ha corso.

Diceva bene Prezzolini che in Italia nulla è più definitivo del provvisorio. Ciò non stupisce, considerando che gli esecutivi dell’ultimo decennio sono sorretti da maggioranze ballerine che ne minano gli equilibri, per cui come in quest’ultimo governo Draghi non si arriva alla scadenza naturale della legislatura con la medesima compagine governativa, di conseguenza non è quasi mai possibile definire una politica di ampio respiro per riformare un paese che ne abbisognerebbe eccome, basti pensare ai comparti nevralgici della sanità, della ricerca, dell’istruzione, della pubblica amministrazione, alla liberalizzazione delle professioni, all’ammodernamento delle infrastrutture, punti cardine di ogni programma riformista puntualmente disattesi.

Quella italiana è sempre una politica di piccolo cabotaggio, di navigazione a vista giorno per giorno, difettiva di una visione organica lungimirante e prospettica. Ad Alcide De Gasperi si attribuisce la frase: “La differenza fra un politico ed uno statista sta nel fatto che un politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime generazioni”. Ciò dà la misura del provvisorio che impera nel nostro paese. Insomma l’Italia rimane un paese prigioniero di sparpagliati localismi, che rispecchiano la vocazione tutta italica alla contrapposizione senza costrutto in guelfi e ghibellini, delle discussioni retoriche a non finire, in cui alla fine non si decide nulla. E come nel più classico dei proverbi cosa produce la montagna? il topolino.

La lente d’osservazione della politica ci consente una lettura privilegiata dell’antropologia degli italiani evidenziandone i costumi tipici, vizi e virtù, soprattutto i primi. Questa mancanza di stabilità e di governabilità, questa morale gattopardesca di lampedusiana memoria, in cui tutto cambia per rimanere così com’è, permette tuttavia di rintracciare una costante che attraversa da sempre la politica, quella italiana in particolare.

Lo slogan della politica: promettere molto mantenere poco

Nel XXVII canto dell’Inferno, Dante illustra le vicende di Guido da Montefeltro. Dopo un passato da uomo di guerra in cui mise in atto soprattutto le sue doti di stratega, in vecchiaia divenne frate francescano in modo da espiare le sue colpe e quindi pacificarsi con Dio e salvarsi l’anima. Papa Bonifacio VIII che era in guerra con i Colonna, si rivolse a lui per ricevere consiglio su come conquistare la rocca di Palestrina. Guido però taceva, allora il papa per indurlo a parlare, gli promette di assolverlo prima di commettere la colpa, perchè rientrava nelle sue prerogative dischiudere e chiudere le porte del cielo con le chiavi apostoliche.

E poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti; finor t’assolvo, e tu m’insegna fare

sì come Penestrino in terra getti. Lo ciel poss’io serrare e disserrare,

come tu sai; però son due le chiavi

che ‘l mio antecessor non ebbe care”

Guido quindi si lascia ingannare dal pontefice e a sua volta gli suggerisce un inganno, ovvero lo slogan per eccellenza a cui è adusa la politica per conquistare l’elettorato: “lunga promessa con l’attender corto ti farà triunfar nell’alto seggio.”

All’atto della morte di Guido, San Francesco sta per portarne l’anima al cielo, tuttavia sopravviene il diavolo, che secondo logica argomenta che l’anima del francescano gli appartiene: infatti tenendo conto dell’aristotelico principio di non contraddizione, non è possibile assolvere chi non si pente, nè pentirsi e volere commettere il peccato nel medesimo tempo.

“ch’assolver non si può chi non si pente

né pentére e volere insieme puossi

per la contradizion che nol consente ”Oh me dolente! Come mi riscossi quando mi prese dicendomi: “Forse

Tu non pensavi ch’io loico fossi!”

Guido si accorge quindi di essere stato gabbato dal diavolo che ha usato le armi sottili della logica e di non avere più tempo per porvi rimedio.

Il Principe di Machiavelli: identikit di un buon governante

Questo libro dovrebbe troneggiare sul comodino di ogni politico per essere meditato e rimeditato ogni sera prima di calare il sipario sulla giornata appena trascorsa. Il segretario fiorentino demarca chiaramente i confini tra morale e ragion pratica dello stato. Il capitolo XV del Principe (Delle cose, mediante le quali gli uomini, e massimamente i Principi, sono lodati o vituperati) si incentra su come deve comportarsi un principe nei confronti non solo dei sudditi, ma anche degli amici, per mantenere il suo potere. A prevalere, secondo Machiavelli, devono essere le esigenze pratiche che consentono di salvare lo stato, anche se questo significa dover agire in modo non morale. Il principe deve agire sulla base delle situazioni ed esigenze concrete che gli si parano dinanzi, per cui deve essere pragmatico e vagliare ogni circostanza caso per caso:

“Io so che ciascuno confesserà, che sarebbe laudabilissima cosa un Principe trovarsi di tutte le sopraddette qualità, quelle che sono tenute buone; ma perché non si possono avere, né interamente osservare per le condizioni umane che non lo consentono, gli è necessario essere tanto prudente, che sappia fuggire l’infamia di quelli vizi che li torrebbono lo Stato, e da quelli che non gliene tolgano, guardarsi, se egli è possibile; ma non potendosi, si può con minor rispetto lasciare andare. Ed ancora non si curi d’incorrere nell’infamia di quelli vizi, senza i quali possa difficilmente salvare lo Stato; perché, se si considera bene tutto, si troverà qualche cosa che parrà virtù, e seguendola sarebbe la rovina sua; e qualcun’altra che parrà vizio, e seguendola ne risulta la sicurtà, ed il ben essere suo”.

La promessa è lo slogan protagonista di ogni campagna elettorale. Ogni partito, animato più o meno dalle migliori intenzioni, non fa che promettere. Queste promesse sono come gli ami dei pescatori: quanti vi abboccheranno? Molti a dire invero. Ma soltanto in un paese dalla democrazia immatura come l’Italia, l’italiano medio si aspetta che la politica possa cambiare il corso della propria vita. In altri paesi dalle tradizioni democratiche più salde della nostra, le percentuali di astensionismo sono molto elevate perché i cittadini sanno che non devono aspettarsi nulla dalla politica se non il rispetto delle regole nel contesto democratico.

Nel nostro Paese invece gli italiani non fanno e non sanno far valere i loro diritti, si rivolgono ai potenti di turno come questuanti per chiedere non per meritare un lavoro, un favore personale etc. I politici, come il potente di turno nell’antica Roma, sono circuiti continuamente da una pletora di clientes in cerca di favori di ogni tipo.

É evidente che su queste basi non si riuscirà mai ad andare molto lontano e che l’esercizio del voto in questi termini lo defrauda di ogni valore. D’altronde non è che i politici piovano dall’alto, in democrazia vengono liberamente eletti, ma gli eletti non possono non avere gli stessi difetti degli elettori. Tali gli italiani e tali i politici che si meritano. I politici rispecchiano a pieno l’antropologia di coloro che li eleggono, né più nè meno, e dunque la politica non è avulsa rispetto alla società civile, ne è l’espressione concentrata e massimizzata.

La famosa scena del film “Gli onorevoli” anno 1963, che vede protagonista Totò nei panni di un candidato alle elezioni che adotta lo slogan “Vota Antonio, Vota Antonio, Vota Antonio!” esplica perfettamente quanto detto. Insomma anche quest’anno sarà un Vota Antonio! Si salvi chi può!

Marco Troisi

Redazione
Redazione
Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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