Jessica con Pedrosa, a destra la sorellaJessica con Pedrosa, a destra la sorella

Quando è iniziato l’incubo di Jessica a Castelnuovo del Garda?

Jessica Stappazzollo aveva 32 anni e sognava una vita normale. Una casa, un lavoro dignitoso e una famiglia a Castelnuovo del Garda, in provincia di Verona. Invece ha trovato Douglas Reis Pedroso, brasiliano come lei, un uomo che l’ha fatta sprofondare lentamente nel buio. Mesi di percosse, umiliazioni, isolamento, per arrivare all’epilogo: uccisa con un numero “smisurato” di coltellate, come ha dichiarato la Procura di Verona. Una mattanza.

A raccontare per la prima volta la spirale di violenza è la sorella Lisa, intervistata a Ore 14 e poi a La Vita in Diretta:

«Mi scriveva che la picchiava, la picchiava per educarla, come se fosse un cane».

Jessica era intrappolata. Lui la controllava, le imponeva regole, la minacciava: «Se non fai quello che dico faccio del male alla tua famiglia», le ripeteva.

Violenza annunciata? Il braccialetto elettronico c’era, ma non ha suonato

La storia di Jessica Stappazzollo poteva essere fermata mesi fa. Lo Stato lo sapeva. La giustizia lo sapeva. La protezione c’era: era stato applicato a Pedroso un braccialetto elettronico per maltrattamenti. Ma non è servito a salvarla.

Il dispositivo che avrebbe dovuto tenere lontano l’uomo dalla vittima è stato ritrovato in un garage, nella casa della famiglia della vittima. Disattivato. Inutile.
Sua madre, davanti alle telecamere, ha detto:

«Non sapevo che questo apparecchio fosse qui. Le dicevo sempre di tornare a casa, che lui era un pazzo».

Perché non ha funzionato il sistema di protezione? Chi lo ha tolto e perché? Dov’erano i controlli? Perché nessuno ha verificato che fosse attivo? Sono le domande che ora bruciano.

Jessica Strappazzollo Custodio de Lima
Jessica Strappazzollo Custodio de Lima

Le chat WhatsApp: “Sono tutta ferita per colpa tua”

Durante la trasmissione televisiva sono state rese pubbliche alcune chat tra Jessica e il suo killer, salvato nel telefono con il nome “Amore della mia vita”. Messaggi che gelano il sangue.

Jessica scriveva:

«Sono tutta ferita per colpa tua, non riesco a deglutire, sono piena di ematomi».

La sua unica risposta?

«Non è facile gestirti».

Gestirti. Come si “gestisce” qualcuno che ti ama? Picchiandolo? Distruggendolo psicologicamente? È qui che la violenza rivela la sua natura mostruosa: non è raptus, ma controllo.

La sorella Lisa: “Ha tentato di violentarmi. Un mostro”

La testimonianza più agghiacciante è quella della sorella Lisa. Non solo ha assistito al declino psicologico di Jessica, ma ha denunciato di essere stata a sua volta vittima di Pedroso:

«Ha tentato di violentarmi lo scorso dicembre. È venuto verso di me nel corridoio, con l’uscita bloccata. Ho urlato, sono scappata. Il mio fidanzato lo ha fermato».

Lisa è viva perché è riuscita a fuggire. Jessica no.

H2 – Un femminicidio che grida vendetta: cosa non ha funzionato nella protezione?

Questo non è un delitto familiare. È un fallimento istituzionale. Jessica aveva denunciato. Pedroso era monitorato. Ma qualcuno ha permesso che il dispositivo di prevenzione diventasse un pezzo di plastica abbandonato in un garage.

Lui era libero. Lei, condannata a morte.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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