Scontro interno su riscatto laurea e finestre mobili: Giorgetti difende, Borghi attacca. Opposizioni all’assalto: “Governo nel caos”
Neppure il simbolico “fischio finale” della premier Giorgia Meloni in Aula riesce a riportare ordine nella maggioranza. Sul capitolo pensioni la manovra economica continua a inciampare, rallentata da uno scontro sempre più evidente tra il Mef e la Lega, che da giorni alza il tiro e si smarca dai compromessi. Il nodo è la riformulazione della norma che attenua la stretta sul riscatto della laurea ma lascia intatte le finestre mobili, uno schema che per il Carroccio resta inaccettabile.
Il risultato è uno stallo politico che si riflette direttamente sull’iter della legge di bilancio, tra sospensioni dei lavori, vertici di maggioranza e un nuovo testo che continua a essere annunciato ma non arriva.
Pensioni, il cortocircuito Lega-Mef
A certificare lo scontro è la giornata parlamentare alla Camera. Da un lato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che difende l’impianto della norma spiegando che «l’intervento sulle finestre mobili può essere cambiato quando si vuole». Dall’altro Claudio Borghi, relatore leghista alla manovra, che smonta pubblicamente il compromesso: «È un passo in avanti togliere i riscatti delle lauree, ma non ci sono le finestre. Chiediamo al governo una riformulazione differente».
Un cortocircuito politico evidente, perché Giorgetti e Borghi siedono nello stesso partito. Ma il messaggio è chiaro: la Lega non intende intestarsi una misura percepita come penalizzante per lavoratori e pensionandi.
Lavori a singhiozzo e poche misure approvate
Nel frattempo la tabella di marcia del governo procede a strappi. Le misure “pesanti” approvate finora si contano sulle dita di una mano. Tra queste spicca il taglio dal 4 al 3% del tasso sugli interessi delle rate della rottamazione quinquies, un risultato che la Lega rivendica come proprio, pur avendo chiesto un ampliamento della platea.
Via libera anche a una serie di interventi finanziati con il cosiddetto “fondino” per le modifiche parlamentari: risorse contro l’antisemitismo proposte da Italia Viva e un contributo al Cnr sostenuto da Avs. Per il resto, il cantiere resta bloccato.
Elezioni 2026, il governo fa marcia indietro
Stop anche alla norma sulle elezioni del 2026, che il governo aveva tentato di inserire attraverso una riformulazione di un emendamento di Forza Italia. Il testo avrebbe consentito di votare per tutto l’anno anche di lunedì, anticipando di fatto il consueto decreto elezioni.
Le opposizioni hanno gridato al colpo di mano, intravedendo un possibile aggancio per accelerare anche sul referendum sulla giustizia. Di fronte alle proteste, l’esecutivo ha scelto di ritirare la proposta. «Non c’era nessun disegno nascosto – ha assicurato il ministro Luca Ciriani – ma per evitare diverse interpretazioni verrà presentato un decreto ad hoc in uno dei prossimi Consigli dei ministri».
Il caso armi e la rivolta delle opposizioni
Tra i riformulati compare anche una misura delicatissima sul comparto della difesa. Il testo consentirebbe al governo di individuare attività, aree e infrastrutture per rafforzare le capacità industriali legate alla produzione e al commercio di armi. Una proposta che scatena immediatamente la reazione delle opposizioni.
«È un blitz gravissimo – attacca Angelo Bonelli (Avs) – che punta a trasformare le fabbriche italiane in luoghi di produzione delle armi». Per ora la misura viene accantonata, ma il segnale politico resta.
Opposizioni all’attacco: “Maggioranza in crisi di nervi”
La giornata si chiude con un fuoco di fila delle opposizioni, che individuano proprio sulle pensioni la crepa più profonda nella maggioranza. «Ci opporremo ai colpi di mano di questo governo che è precipitato nel caos», attacca Elly Schlein. Per il M5S la manovra è «a una deriva che va fermata».
Ancora più duro Peppe De Cristofaro (Avs), che parla di «auto-ostruzionismo» di una maggioranza «in preda a una crisi di nervi». Riccardo Magi (+Europa) affonda: «Non è la manina del Mef, ma la mancanza di una linea politica condivisa».
La partita sulla manovra è tutt’altro che chiusa. E il capitolo pensioni rischia di diventare il detonatore di una tensione politica sempre più difficile da ricomporre.

