Social vietati agli under 16 in AustraliaSocial vietati agli under 16 in Australia

Vietare TikTok e Instagram ai minori risolve o sposta il problema?

Non è (solo) un divieto. È un atto politico, culturale, pedagogico e giudiziario. L’Australia ha vietato ai minori di 16 anni l’accesso a tutte le piattaforme social, mentre in Italia — nel silenzio della politica — sono professionisti, psicologi, pediatri e associazioni a muovere le leve legali.
Nei prossimi giorni il Tribunale civile di Roma si esprimerà sul maxi-ricorso depositato da Codacons, Adusbef e Assourt contro Meta/Instagram per mancata verifica reale dell’età.


La voce dello psicologo: “Non è un divieto, è una fuga dagli adulti”

A parlare in controtendenza è Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, gap e cyberbullismo).

“Il punto non è togliere un’App, ma chiedersi perché milioni di adolescenti si rifugiano lì dentro. Non scappano dai social: scappano dal mondo reale dove non si sentono ascoltati, visti, protetti”.

Lui vede il divieto australiano come protezione a metà:

“Protegge, ma non cura. Se non ricostruiamo relazioni, educazione affettiva e presenza adulta, cambierà solo il luogo della fuga, non la fragilità”.


Il pedagogista Novara: “Genitori lasciati soli contro un sistema spietato”

Il pedagogista Daniele Novara, promotore della raccolta firme che ha superato 100mila adesioni, esulta:

“L’Australia ha aperto una strada che l’Europa deve percorrere. Ai genitori serve una legge, non sermoni”.

La scuola italiana oggi vieta lo smartphone in aula, ma fuori — osserva — nessuno tutela le famiglie:

“È una lotta impari: nessun genitore può farcela contro l’impero digitale senza un sostegno giuridico”.


I pediatri: “È dipendenza comportamentale, non semplice distrazione”

A essere netto è Rino Agostiniani, presidente Società Italiana di Pediatria (Sip):

“I social generano una dipendenza comportamentale. L’Australia ha fatto ciò che nessuno ha avuto il coraggio di fare”.

La ministra australiana delle Comunicazioni, Anika Wells, li definisce:

“Algoritmi predatori, una cocaina comportamentale”.


Il fronte giudiziario italiano: la decisione del Tribunale di Roma

Mentre l’Australia spegne gli account, l’Italia attende la decisione del Tribunale civile di Roma sull’azione inibitoria contro Meta/Instagram:

  • Ricorrenti: Codacons, Adusbef, Assourt
  • Obiettivo: stop totale agli account under 13 e verifica certa dell’età
  • Contestazione: Meta utilizza autodichiarazioni eludibili, esponendo minorenni a contatti e contenuti inappropriati

Se il ricorso verrà accolto, scatterà:

  • blocco e rimozione di centinaia di migliaia di account under 13
  • obbligo tecnico di verifica reale (age verification certificata)

Un precedente che cambierebbe l’ecosistema digitale italiano. Un passaggio storico, ma ancora una volta limitato all’hardware del fenomeno e non alla sua anima: i ragazzi si sposteranno altrove, più nascosti, più soli. Perché la domanda resta sospesa:
Chi li ascolterà davvero quando lo schermo verrà spento?


Il nodo vero: non lo smartphone, ma la solitudine

Tutti parlano di divieti, filtri, algoritmi. Ma la diagnosi più spietata resta quella di Lavenia:

“I social sono un sintomo. La solitudine è la malattia. E non si cura con un decreto, ma con adulti che tornano adulti”.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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