Procura in azione sul caso Phica.netProcura in azione sul caso Phica.eu

Le denunce contro Phica.eu

Il sito Phica.eu, chiuso dopo le numerose denunce presentate da donne di tutta Italia, continua a far discutere e ad attirare l’attenzione degli inquirenti. Il portale, attivo da oltre vent’anni e con circa 38mila iscritti, era diventato un luogo di condivisione e commenti spesso violenti su fotografie di donne, molte delle quali prese direttamente dai profili social senza alcun consenso. In diversi casi erano comparsi persino deepfake: fotomontaggi che accostavano il volto delle vittime a corpi di attrici pornografiche, alimentando una spirale di odio e sessismo.

La testimonianza di una vittima

Una delle donne coinvolte ha raccontato la sua vicenda a Repubblica. Dopo aver scoperto casualmente la presenza delle proprie immagini sul portale, ha provato in ogni modo a chiederne la rimozione. “Erano foto prese da Instagram, in costume, niente di intimo. Ma c’erano anche fotomontaggi in cui la mia faccia veniva messa sul corpo di pornostar. Il tutto accompagnato da insulti e apprezzamenti volgari”, ha spiegato.

I pacchetti a pagamento per rimuovere i contenuti

In un primo momento la donna ha tentato di contattare i gestori del sito fingendo di essere un’utente. Non ricevendo alcun riscontro, ha inviato diverse mail denunciando la diffusione non consensuale di immagini. La risposta è arrivata solo dopo minacce di azioni legali: i gestori hanno proposto dei “pacchetti a pagamento” per ottenere la cancellazione dei contenuti.

Secondo la testimonianza, esistevano vari abbonamenti: 250 euro al mese per la rimozione dei thread, 500 per un servizio “premium” e 1000 euro per l’opzione “unlimited”, che comprendeva la richiesta di diritto all’oblio dai motori di ricerca e assistenza per eventuali denunce. “Ho finito per pagare quasi duemila euro. Non era solo per le foto, ma per i nudi falsi e per i commenti che chiunque avrebbe potuto leggere”, ha aggiunto la vittima.

Le accuse di estorsione e vendetta porno

Un episodio che, se confermato, configurerebbe ipotesi molto gravi, tra cui non solo diffamazione e vendetta porno, ma anche estorsione. Gli inquirenti, infatti, stanno raccogliendo testimonianze da altre donne che hanno ricevuto richieste simili. Alcune avrebbero dovuto versare fino a mille euro al mese per la cancellazione dei contenuti.

L’inchiesta della Procura di Roma

La Procura di Roma ha aperto un fascicolo e in settimana dovrebbe avviare i primi interrogatori, a partire dal gestore del sito, un cittadino italiano. Anche se i server sono all’estero, la nazionalità del responsabile potrebbe agevolare il lavoro investigativo. La Polizia Postale, intanto, sta acquisendo materiale probatorio e identificando non solo i gestori, ma anche gli autori dei commenti sessisti, che potrebbero essere chiamati a rispondere di diffusione illecita di immagini e diffamazione aggravata.

Il dibattito in Parlamento

Il caso è arrivato anche in Parlamento. La Commissione parlamentare sul Femminicidio, guidata da Martina Semenzato, ha annunciato un approfondimento sul fenomeno. “Siamo davanti a un uso improprio della tecnologia e a controlli troppo deboli sui social – ha dichiarato Semenzato – dobbiamo attualizzare le norme e valutare le otto proposte di legge già presentate per proteggere le donne”.

Un problema culturale oltre che legislativo

Il dibattito non riguarda solo il vuoto legislativo, ma anche l’aspetto culturale. C’è chi continua a liquidare simili episodi come “goliardate”, ignorando l’impatto devastante sulle vittime. Alcune associazioni hanno sottolineato come il caso Phica.eu rappresenti solo la punta dell’iceberg di un problema più diffuso, che riguarda la violenza digitale e il sessismo online.

Le prossime tappe

Entro fine anno è attesa la conclusione dell’inchiesta parlamentare. Nel frattempo, decine di donne in tutta Italia continuano a raccontare le proprie storie, accomunate da un sentimento di paura e umiliazione. Il caso Phica.eu ricatto foto deepfake potrebbe dunque diventare un punto di svolta per definire nuove regole e rafforzare la tutela contro la violenza digitale.

Di Giuseppe D'Alto

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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