Selfie davanti al feretro di Papa FrancescoSelfie davanti al feretro di Papa Francesco

Sta facendo discutere il comportamento di alcuni fedeli che, una volta giunti di fronte alla salma di Papa Francesco, hanno deciso di scattarsi un selfie, immortalando il momento come se fosse un evento qualsiasi. Un gesto che per molti rappresenta una profanazione del dolore e del lutto, ma che per altri racconta molto del nostro tempo.

A spiegare il fenomeno ci ha pensato la professoressa Daniela Villani, psicologa e docente di Psicologia della religione all’Università Cattolica di Milano. Secondo la studiosa, il gesto del selfie davanti al Papa non è solo una questione di cattivo gusto, ma il sintomo di un malessere culturale più profondo.

‘Io c’ero’: il bisogno di esserci, anche nel dolore

Per Villani, fotografarsi in un momento così carico di significato può rappresentare un tentativo di evitare il contatto reale con la sofferenza e con la finitezza della vita. “È come se ci si volesse mettere a distanza – afferma – come se il dolore fosse troppo forte da sostenere davvero”.

Dietro un selfie, insomma, potrebbe nascondersi il bisogno di proteggersi, ma anche quello di esistere socialmente, condividendo online un momento “storico” e dicendo al mondo “io ci sono stato”.

Un gesto che snatura il sacro?

Secondo l’esperta, la condivisione istantanea svuota spesso il significato autentico delle esperienze. “Certo, non significa che chi si è ripreso davanti al feretro del Papa non volesse davvero partecipare, ma quel gesto rischia di snaturare il senso della presenza in quel luogo”.

Villani sottolinea anche come la partecipazione profonda a un lutto sia più faticosa dal punto di vista emotivo, e quindi spesso evitata in favore di un consumo veloce delle emozioni, come avviene sempre più spesso nella nostra società.

Sacralità vs apparenza

In fondo, quel selfie non è solo un’immagine, ma un simbolo: rappresenta il modo in cui il dolore viene spettacolarizzato, trasformando un momento sacro in un evento social. La domanda che resta è: stiamo davvero vivendo quel momento o stiamo solo cercando di apparire in esso?

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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