Enrico VarrialeEnrico Varriale

Il tribunale monocratico di Roma ha condannato l’ex giornalista sportivo della Rai, Enrico Varriale, a 10 mesi di reclusione per i reati di stalking e lesioni ai danni della sua ex compagna. La pena, sospesa in attesa di eventuali ricorsi, include anche l’obbligo per Varriale di seguire un percorso periodico presso strutture dedicate al recupero degli uomini maltrattanti.

La richiesta del PM e la decisione del giudice

Nel corso della requisitoria, il pubblico ministero aveva richiesto una pena più severa, proponendo due anni di reclusione. Il giudice, al termine del processo, ha tuttavia optato per una condanna a 10 mesi, riconoscendo comunque la piena responsabilità penale dell’imputato per i fatti contestati.

Oltre alla pena detentiva, Varriale dovrà risarcire i danni alla parte civile e farsi carico delle spese processuali.

La denuncia: violenze fisiche e psicologiche

Il procedimento ha avuto origine dalla denuncia presentata dalla donna, che durante le udienze ha ricostruito in aula i drammatici episodi subiti durante la relazione con il giornalista.

“Mi ha dato uno schiaffo a piene mani che mi ha fatto cadere. Io peso 47 chili, è facile mandarmi giù con uno schiaffone”, ha raccontato la vittima, descrivendo il primo episodio di violenza fisica, seguito da attacchi di panico che hanno avuto inizio già dalla stessa sera dell’aggressione.

“Quando volevo scappare e lui mi ha chiuso a chiave, ho iniziato ad avere questa sensazione di soffocamento e pericolo. Ho capito che era panico: tremavo e sentivo di non riuscire più a controllarmi.”

Le minacce telefoniche e il controllo ossessivo

Non si sarebbe trattato di un episodio isolato. Secondo quanto emerso durante il processo, Varriale avrebbe in più occasioni minacciato telefonicamente la donna, insultandola pesantemente con epiteti offensivi come “t**ia” e “mi*notta”.

L’ex vicedirettore di Rai Sport avrebbe anche pedinato e controllato ossessivamente la compagna, imponendole un clima di costante paura, al punto da costringerla a modificare radicalmente la propria vita quotidiana per evitare possibili aggressioni.

Il lungo processo e il coraggio della vittima

L’avvocata Teresa Manente, responsabile dell’Ufficio legale di Differenza Donna e legale della parte civile Rosaria Giuseppina Romeo, ha espresso soddisfazione per l’esito del procedimento:
“La sentenza è il risultato di un lungo processo in cui la persona offesa ha trovato la forza di raccontare in aula, con lucidità e coerenza, il suo vissuto. Le sue dichiarazioni sono state puntualmente confermate da prove documentali, testimonianze e accertamenti tecnici.”

Secondo Manente, il tribunale ha riconosciuto che Varriale ha sistematicamente violato il diritto della donna alla libertà e alla sicurezza personale, ignorando il suo rifiuto e la volontà di interrompere la relazione.

Differenza Donna: “La violenza maschile non è amore”

Il caso Varriale rappresenta, secondo l’associazione Differenza Donna, un esempio emblematico di violenza maschile che nulla ha a che vedere con i sentimenti, ma con il controllo e il possesso:
“Nessun ‘dispiacere’, nessun preteso ‘amore’ può giustificare una relazione che si fonda sul controllo, sull’intimidazione, sull’umiliazione e sulla violenza”, ha dichiarato l’avvocata Manente.

Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna, ha sottolineato come questa sentenza invii un messaggio importante:
“La violenza maschile contro le donne non è mai un malinteso, né un eccesso d’amore. È un crimine, e come tale va trattato. Le parole, gli insulti, le aggressioni, il controllo, gli appostamenti: tutto ciò che le donne ci raccontano ogni giorno è finalmente entrato in un’aula di giustizia e ha trovato ascolto.”

Un messaggio alla società e alla giustizia

Secondo Differenza Donna, il processo ha avuto anche una forte valenza simbolica, denunciando la tendenza ancora diffusa a minimizzare la violenza domestica e a mettere in dubbio le parole delle vittime:
“La mia assistita ha dovuto difendersi due volte: dall’aggressore e da una narrazione che spesso tende a mettere in discussione la parola delle donne. Oggi il Tribunale ha scelto di ascoltare, ha riconosciuto la gravità delle condotte, ha dato forza alla verità.”

L’associazione continuerà a sostenere le donne che trovano il coraggio di denunciare e a battersi per il pieno riconoscimento della violenza maschile come grave violazione dei diritti umani.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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