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Belen Rodriguez, quella notte di terrore: ‘Mi puntarono la pistola alla testa’

“Ci legarono e mi puntarono la pistola alla testa“. In un’intervista rilasciata a Il Corriere della Sera Belen Rodriguez ha raccontato i sacrifici fatti quando viveva in Argentina, le difficoltà ma anche alcune esperienze che l’hanno profondamente segnata.

Belen Rodriguez e gli anni difficili in Argentina

Il papà severo e sempre ligio alle regole della chiesa protestante, le gonne corte vietate, le gite e le discoteche off limits. Tanti divieti e regole rigide da seguire. Tra i pochi svaghi le iniziative religiose come le escursioni. “Una volta abbiamo fatto un’escursione in montagna, senonché ci perdiamo e arriva la notte. Camminiamo sul sentiero stretto, in fila indiana, mano nella mano”. Con lei c’era un ragazzino, Mariano, del quale si era invaghita. “Gli stringevo forte la mano, avrei voluto che quella notte fosse durata tantissimo” – ha spiegato la show girl sudamericana.

Le rigide regole del papà e le escursioni organizzate dalla chiesa: ‘Ci perdemmo nel bosco’

L’esperienza più dolorosa quando i ladri fecero irruzione nella sua abitazione in un periodo di forte crisi con la gente che saccheggiavano i supermercati ed entravano nelle case a rubare ed ammazzare chi opponeva resistenza. Quella volta la conduttrice di Tu si que vales vide la morte in faccia.

“Arrivarono in otto, armati e drogati di colla. Io ero in giardino, mi prendono per i capelli, mi trascinano dentro” – ha spiegato Belen sottolineando che i delinquenti portavano via tutto quello che avevano a tiro.

La terribile rapina in casa: ‘La gente non aveva da mangiare, ci puntarono la pistola dopo averci legato’

“Vestiti, scarpe, mutande, il mio book fotografico da modella ma anche tazzine di caffè, forchette, la televisione e le lenzuola. Con lo stipendio del volantinaggio avevo comprato un paio di stivali a rate. Neri, con le borchie, il mio orgoglio.

Così, mentre loro saccheggiano casa, io, con le mani legate, riesco a spostarmi e a prendere gli stivaletti per nasconderli nella fessura del divano letto”. Subito dopo la portano in bagno. “Ho pensato: se non mi uccidono tutto il resto va bene. Volevano sapere il numero di conto corrente di mio padre. Dopo otto ore vanno via con tutte le nostre cose ma ci lasciano vivi”.

Redazione
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Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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