La denuncia dell’attore e il sospetto ricatto
Raoul Bova sarebbe vittima di una tentata estorsione. Sulla vicenda che coinvolge l’attore 53enne, tra i più noti del panorama cinematografico italiano, indaga la Procura di Roma. Tutto è partito alcune settimane fa, quando Bova ha ricevuto sul proprio cellulare uno o più messaggi da un numero sconosciuto. Il contenuto, stando a quanto ricostruito da la Repubblica, era inequivocabile: un mittente ignoto lo avvisava che alcuni suoi messaggi vocali privati, destinati alla modella e influencer 23enne Martina Ceretti, erano in possesso di terzi e avrebbero potuto essere resi pubblici.
Nonostante non fosse esplicitata alcuna richiesta diretta di denaro, il tono era tale da far intendere che si trattava di un tentativo di pressione, un modo subdolo per ottenere una reazione da parte dell’attore. Bova, invece, ha scelto la via del silenzio, non rispondendo al mittente e denunciando la vicenda. Il 21 luglio, però, parte di quel materiale vocale – alcune conversazioni intime – è stato effettivamente diffuso pubblicamente all’interno del podcast Falsissimo, prodotto da Fabrizio Corona.
Inchiesta aperta e prime ipotesi investigative
La Procura di Roma ha immediatamente aperto un fascicolo, attualmente contro ignoti, affidando le indagini alla Polizia Postale sotto la supervisione della pm Eliana Dolce. Il numero da cui erano partiti i messaggi a Raoul Bova risulta formalmente intestato a un prestanome, ma le forze dell’ordine stanno lavorando per risalire all’effettivo utilizzatore del dispositivo.
Fabrizio Corona al momento non risulta indagato, ma gli inquirenti sono al lavoro per comprendere se il materiale da lui diffuso sia stato ottenuto illecitamente. In quel caso si configurerebbe il reato di ricettazione. Secondo quanto riferito da fonti investigative, l’ex re dei paparazzi avrebbe ricevuto o intercettato i file audio in una fase avanzata della loro diffusione: l’attenzione è ora concentrata sul passaggio del materiale da Martina Ceretti a terzi, e su chi, all’interno della catena, abbia avuto interesse a farli arrivare a un personaggio mediatico come lui. Gli inquirenti sospettano che il coinvolgimento di Corona non sia stato casuale.
Il traffico telefonico e la posizione di Martina Ceretti
Secondo fonti vicine all’attore, le comunicazioni vocali non erano recenti, ma risalenti a mesi addietro. Resta cruciale il passaggio intermedio: quegli audio, inizialmente inviati da Bova a Martina Ceretti nel corso di una relazione personale, sarebbero stati inoltrati a terzi. Gli investigatori stanno analizzando il traffico telefonico dell’influencer per individuare la catena di condivisione che ha portato il materiale fino a Corona e alla sua piattaforma di diffusione.
Obiettivo dell’indagine è ricostruire l’intero percorso degli audio: da Bova a Ceretti, e da lì – eventualmente – a chi ha poi scelto di divulgarli pubblicamente, contribuendo alla lesione della privacy dell’attore. La giovane modella ha smentito un suo coinvolgimento.
Il risvolto privato: separazione e fango mediatico
Il caso ha inevitabilmente avuto eco anche nella sfera personale dell’attore. Il suo legale, David Leggi, ha denunciato un clima di “fango mediatico” e ha precisato che Bova e Rocío Muñoz Morales, sua storica compagna, non erano più una coppia da tempo, pur condividendo la genitorialità delle due figlie. Di diverso avviso l’avvocato dell’attrice, Antonio Conte, secondo cui non vi sarebbe mai stata alcuna separazione di fatto.
La vicenda, dunque, si complica ulteriormente con elementi privati che rischiano di alimentare speculazioni e polemiche.
Garante privacy: “Chi riposta contenuti illeciti è responsabile”
In un’intervista a la Repubblica, Guido Scorza – membro del collegio del Garante per la protezione dei dati personali – ha chiarito le conseguenze giuridiche della diffusione non autorizzata di messaggi privati. “È vietato pubblicare e condividere colloqui privati”, ha detto Scorza. La persona lesa può rivolgersi sia al giudice penale, come ha fatto Bova, sia direttamente al Garante, che ha facoltà di imporre sanzioni amministrative significative.
Nel caso di privati, le multe possono arrivare a decine di migliaia di euro, mentre per le aziende possono toccare il 4% del fatturato. Scorza ha anche spiegato che chi contribuisce alla diffusione – tramite repost o condivisioni – compie un illecito amministrativo. Anche se non si tratta di un reato penale, ha effetti civili rilevanti.
Il Garante può inoltre richiedere alle piattaforme la rimozione del contenuto e, nei casi sospetti, predisporre l’hash, una sorta di impronta digitale del contenuto che consente di bloccarne preventivamente la circolazione.
Una questione di privacy, reputazione e giustizia
Al di là dell’aspetto penale, il caso solleva interrogativi su come si trattano i contenuti intimi e privati nell’era dei social e del voyeurismo digitale. “Spesso si dimentica che dietro a un file audio o a un messaggio c’è una persona”, ha ricordato Scorza, sottolineando la trasformazione della privacy in una forma di intrattenimento tossico. È proprio questa dinamica che la Procura ora vuole decostruire, risalendo a chi ha pensato di monetizzare – o strumentalizzare – la fragilità di una relazione.