David RossiDavid Rossi

La perizia che rovescia dieci anni di ipotesi ufficiali

Il lavoro del medico legale Robbi Manghi e del tenente colonnello dei Ris Adolfo Gregori rompe definitivamente l’argine del dubbio. David Rossi, ex capo comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, precipitato dal terzo piano della sede di Rocca Salimbeni la sera del 6 marzo 2013, non sarebbe mai stato un uomo in procinto di togliersi la vita. La conclusione tecnica è netta: Rossi fu trattenuto, sospeso nel vuoto, immobilizzato e poi lasciato andare. La dinamica non è compatibile con un gesto volontario, e soprattutto non lo sono le lesioni al polso che, secondo gli specialisti, non sono conseguenza dell’impatto al suolo ma provocate prima della caduta.


Il polso lacerato e l’orologio: la prova che cambia tutto

La perizia si è concentrata su un dettaglio ignorato troppo a lungo: il cinturino dell’orologio. Il filmato analizzato dai Ris, fotogramma per fotogramma, mostra come la cassa del segnatempo e il cinturino cadano separatamente, e non in coincidenza con l’impatto del corpo. Il polso di David Rossi, al momento della precipitazione, era già lacerato. Secondo Gianluca Vinci, presidente della seconda Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso, la spiegazione è soltanto una: Rossi venne afferrato per il braccio, trattenuto e mostrato nel vuoto, per intimidirlo o costringerlo, prima di essere lasciato cadere. Non più suicidio, ma azione violenta premeditata.


L’ipotesi: “Lo hanno esposto fuori dalla finestra, poi lasciato andare”

Vinci non usa mezzi termini. Le lesioni sono coerenti con una trazione esercitata dall’esterno. Qualcuno lo tenne sospeso nel vuoto, bloccandolo per il braccio sinistro con entrambe le mani, provocando una rotazione improvvisa del corpo e una frattura netta nella zona del gomito. Una dinamica che non appartiene alla caduta libera, ma alla resistenza di forze contrapposte e la conclusione finale non può non essere quella dell’omicidio. L’impatto finale è solo la conclusione di un atto iniziato altrove. L’azione estorsiva evocata dai consulenti non viene più esclusa, ma indicata come fronte probatorio concreto.


La vedova: “Non era disperato, non voleva morire”

Antonella Tognazzi, moglie di Rossi, ascolta la ricostruzione con voce ferma ma carica di anni di silenzio e amarezza. “Gli hanno restituito dignità”, dice. Il punto non è solo giudiziario, ma umano. Da dieci anni la narrazione dominante descriveva Rossi come un uomo ai margini, schiacciato dal peso del ruolo e dalle indagini su Mps. Oggi la perizia smonta anche questa cornice: Rossi la mattina della morte non presentava lesioni, non mostrava segni di depressione, non lasciò biglietti, né compì gesti preparatori.


Riapertura delle indagini: la richiesta è immediata

Per Carmelo Miceli, legale della vedova, la perizia segna il punto di non ritorno: “Non siamo più soli. Ora anche i Ris, una Commissione parlamentare e un’analisi tecnica indipendente convergono con noi”. La richiesta è già formulata: riapertura del fascicolo per omicidio. Non più ipotesi, non più sospetti, ma atti dovuti. Dopo anni di lacune, video ignorati, testimonianze contraddittorie e archiviazioni, Rossi torna al centro del quadro come vittima di un’azione violenta e non come protagonista di un gesto disperato.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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