Femminicidio Hayat Fatimi: l’ex fermato aveva gli abiti sporchi di sangue
La notte tra il 6 e il 7 agosto si è consumata una nuova tragedia annunciata nel cuore del centro storico di Foggia. Hayat Fatimi, 46 anni, di origini marocchine ma residente da anni in città, è stata trovata morta accoltellata in vicolo Cibele, a pochi metri dalla sua abitazione. Era sola, vittima di un agguato feroce. Aveva già denunciato l’ex compagno, un connazionale violento, ed era protetta dalla procedura del “codice rosso”. Ma non è bastato. L’uomo è stato rintracciato diverse ore dopo a Roma dalla polizia e, a quanto si apprende, aveva ancora gli abiti sporchi di sangue.
Il ritrovamento e le urla disumane nella notte
Tutto è accaduto poco dopo la mezzanotte. Alcuni residenti, svegliati da grida lancinanti, hanno chiamato la polizia. «Ho sentito un urlo disumano, poi le grida di una donna accorsa fuori, e subito dopo sirene e ambulanze», racconta un vicino. Quando gli agenti e i soccorritori del 118 sono arrivati sul posto, Hayat era già morta. Il suo corpo era riverso sull’asfalto. Aveva cercato di fuggire, forse aveva anche tentato di telefonare per chiedere aiuto, ma il suo assassino l’ha raggiunta e colpita a morte.
Chi era Hayat Fatimi
Hayat Fatimi viveva da sola in un pianterreno nel centro storico di Foggia. Lavorava come cuoca in un ristorante della zona. Era una donna conosciuta e apprezzata per il suo carattere forte ma generoso. Ad aprile scorso si era rivolta al centro antiviolenza “Telefono Donna” denunciando minacce e stalking da parte dell’ex compagno, un uomo senza fissa dimora ma in Italia regolarmente.
La denuncia e il codice rosso
Convinta dalle operatrici del centro, Hayat aveva sporto denuncia nel maggio scorso. A giugno, la stessa associazione aveva inviato alle forze dell’ordine una valutazione di rischio elevato, parlando apertamente di “possibile femminicidio”. Tuttavia, nonostante l’attivazione del codice rosso, l’uomo non era stato sottoposto a braccialetto elettronico o ad altre misure cautelari restrittive. Al 23 luglio, giorno in cui Hayat si è nuovamente rivolta al centro dicendo di essere pedinata, nessuna nuova misura era stata emessa.
La fuga dell’ex e il fermo a Roma
L’ex compagno, ritenuto il principale sospettato, è stato rintracciato alcune ore dopo a Roma, in piazza della Croce Rossa, dai carabinieri. Aveva ancora addosso gli abiti sporchi di sangue. Gli investigatori della Squadra Mobile, coordinati dalla Procura di Foggia, lo hanno fermato mentre cercava di far perdere le proprie tracce. Al momento si trova sotto interrogatorio.
Le falle del sistema e il rifiuto
Le parole di Franca Dente, presidente dell’associazione Impegno Donna, sono durissime: «Abbiamo fatto tutto nei tempi giusti. L’abbiamo seguita, protetta, incoraggiata a denunciare. Ma non ce la possiamo fare da sole. Serve una sinergia più stretta con forze dell’ordine e magistratura. Questa è una sconfitta per tutti».
Hayat aveva rifiutato più volte di lasciare Foggia, nonostante le operatrici le avessero consigliato di rifugiarsi in una struttura protetta. Si sentiva forte, forse voleva continuare a lavorare e a vivere la sua vita con dignità. Ma la macchina della protezione ha fallito.
Le indagini e i prossimi passi
La polizia sta analizzando le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nella zona per ricostruire il percorso dell’aggressore e verificare l’esatto momento dell’attacco. Al contempo, gli inquirenti stanno scavando tra le segnalazioni e le carte già in possesso delle autorità per comprendere perché, nonostante le denunce e il codice rosso, non siano state prese misure sufficienti a evitare la tragedia.
Domande che chiedono risposte:
- Perché l’ex compagno non era sottoposto a una misura restrittiva?
- Chi ha valutato che il rischio non fosse urgente nonostante la segnalazione del centro antiviolenza?
Una città sotto shock, una comunità in lutto
L’omicidio di Hayat ha scosso profondamente Foggia. I colleghi del ristorante, i vicini di casa, gli operatori del centro antiviolenza e i semplici cittadini chiedono giustizia. Ma non solo: chiedono che tragedie come questa non si ripetano più. Che il codice rosso non sia solo una procedura, ma un vero scudo. Per Hayat, purtroppo, è troppo tardi.