Andrea RussoAndrea Russo

Aveva 35 anni Andrea Russo, e abitava a Calcinate, un comune tranquillo della provincia di Bergamo. La sua esistenza si è interrotta tragicamente martedì 8 luglio, sulla pista dell’aeroporto di Orio al Serio, dove è morto risucchiato dal motore di un Airbus A319 della compagnia Volotea, in partenza per le Asturie. Un gesto che, secondo le prime ipotesi investigative, sarebbe riconducibile a un suicidio. Ma al di là della dinamica ancora da chiarire, resta lo sgomento per una fine così estrema. E il bisogno di fermarsi a chiedersi: chi era Andrea Russo?

Un uomo, non un caso di cronaca

Andrea era conosciuto a Calcinate, soprattutto perché la madre è ostetrica nell’ospedale del paese. Chi lo ha incrociato nella quotidianità lo descrive come una persona che stava cercando di rimettersi in piedi, dopo aver vissuto un periodo difficile legato alla tossicodipendenza. In passato aveva frequentato una comunità di recupero, e negli ultimi tempi sembrava aver ritrovato un equilibrio. Viveva a Mornico al Serio, in una casa di proprietà del fratello, insieme a un parente, e si manteneva con lavori saltuari di manutenzione.

Non aveva un’occupazione fissa, ma non risultava emarginato o completamente isolato. Alcuni lo ricordano come un ragazzo schivo, forse chiuso, ma non aggressivo. Non aveva figli né un partner noto. Nulla, almeno in apparenza, lasciava presagire il gesto estremo di martedì.

Un gesto improvviso, senza spiegazioni

Secondo quanto ricostruito dalla polizia e dalla Procura di Bergamo, Andrea ha raggiunto l’aeroporto al volante della sua Fiat 500 rossa – forse anche percorrendo un tratto contromano – e l’ha lasciata in mezzo al parcheggio. Poi si è diretto verso l’area arrivi, passando da una porta che conduce direttamente sulla pista. A nulla sono valsi i tentativi del personale e della polizia di frontiera di fermarlo. In pochi secondi ha raggiunto l’aereo Volotea in fase di rullaggio, e si è gettato nel motore sinistro.

“Stiamo investigando sui suoi eventuali rapporti con l’aeroporto o con il mondo degli aerei”, ha dichiarato il procuratore di Bergamo Maurizio Romanelli. L’auto è stata sottoposta a perquisizione da parte della polizia scientifica, alla presenza del sostituto procuratore Letizia Aloisio. All’interno, riferiscono gli inquirenti, c’era “ogni tipo di materiale”, ma nulla che possa aiutare a comprendere fino in fondo cosa sia scattato nella mente di Andrea. Nessun biglietto, nessuna confessione, nessun riferimento diretto al gesto.

Un dolore che colpisce una comunità intera

La notizia si è diffusa rapidamente a Calcinate e Mornico al Serio, lasciando la comunità attonita. Il sindaco di Calcinate, Lorena Boni, ha parlato di una “tragedia che ci lascia profondamente addolorati. Ci ricorda quanto siamo fragili e quanto sia importante coltivare ogni giorno il senso della comunità, perché nessuno si senta mai solo di fronte alle proprie difficoltà”.

Parole che trovano eco nel silenzio composto della famiglia, chiusa nel dolore e protetta dal riserbo. Anche il presidente di Sacbo, la società che gestisce l’aeroporto, Giovanni Sanga, ha parlato di un evento che ha “sconvolto tutta la comunità aeroportuale”. Ai passeggeri presenti sul volo, così come al personale che ha assistito alla scena, è stato offerto supporto psicologico.

Le domande sulla sicurezza

Oltre al dramma umano, resta aperto il tema delle falle nella sicurezza dello scalo. Come è stato possibile che un uomo senza autorizzazioni, senza biglietto e senza pass potesse raggiungere in pochi minuti una pista in attività e avvicinarsi a un velivolo in fase di decollo? La Procura farà luce anche su questo. Già nei mesi scorsi la Fit Cisl aveva lanciato l’allarme, segnalando episodi preoccupanti e chiedendo la creazione di un osservatorio dedicato alla sicurezza.

Ma oggi, ogni valutazione tecnica resta sullo sfondo. Perché il nome di Andrea Russo non è, e non deve diventare, solo un titolo in un bollettino di incidenti.

Un finale che non racconta tutta una vita

Andrea Russo era un uomo che ha vissuto un momento di profonda disperazione e che forse, come ha detto il sindaco Boni, non ha trovato attorno a sé la rete di sostegno di cui avrebbe avuto bisogno.

Il perché di quanto accaduto probabilmente non verrà mai chiarito fino in fondo. Ma in attesa che la giustizia faccia il suo corso e che si accertino eventuali responsabilità, restano solo il rispetto, il silenzio e una domanda che riguarda tutti: quanta solitudine può nascondersi dietro una vita apparentemente normale?

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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