Ciro Grillo, rinviata l'udienza prima della sentenza per il terribile lutto che ha colpito il giudice Marco ContuCiro Grillo

Un verdetto dopo sei anni

Ci sono voluti sei anni e due mesi per arrivare alla sentenza. Il tribunale di Tempio Pausania ha condannato Ciro Grillo, figlio del fondatore del M5S Beppe Grillo, a otto anni di carcere per violenza sessuale di gruppo, insieme agli amici Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. Francesco Corsiglia ha ricevuto una pena di sei anni e mezzo.

Il caso risale alla notte tra il 16 e il 17 luglio 2019, quando due ragazze di 19 anni – Silvia e Roberta, nomi di fantasia – incontrarono i quattro in un locale di Porto Cervo. Dopo la serata, accettarono l’invito a casa di Grillo. Secondo l’accusa, lì sarebbe avvenuta la violenza. ‘

Legali Corsiglia: ‘Sorpresi dalla sentenza’

‘Siamo sorpresi perché gli esiti del processo davano come prevedibile un’altra assoluzione. La posizione del mio assistito è stata ritenuta meno grave di quelle degli altri, non ci conforta per nulla perché comunque i giudici hanno creduto a una ragazza che è smentita da tutti gli elementi di prova acquisiti nel processo: non uno a suo favore, tutti gli elementi oggettivi e tutte le sue testimonianze”. Lo ha detto l’avvocato Antonella Cuccereddu, difensore di Francesco Corsiglia.


Le versioni opposte: consenso o costrizione?

Sin dall’inizio la linea degli imputati è stata chiara: rapporti consensuali. Al contrario, Silvia ha sempre ribadito di essere stata costretta, incapace di reagire dopo aver bevuto alcolici e un “beverone” a base di vodka e lemon soda.

La sua deposizione in aula è stata drammatica: «Non sentivo il mio corpo, non riuscivo a muovermi… Dopo quella notte volevo morire». Dichiarazioni ritenute coerenti e credibili dalla Procura, che ha invece bollato come “inattendibili” le versioni dei quattro ragazzi, cambiate più volte nel corso del processo.


Il ruolo della Procura e la ricostruzione dei fatti

A sostenere l’accusa è stato in prima persona il procuratore Gregorio Capasso. Ha evidenziato come la sequenza temporale fornita dagli imputati non fosse logica e come le dichiarazioni della ragazza siano rimaste costanti negli anni.

Gli inquirenti hanno ricostruito una notte segnata da abusi, alcol e foto a sfondo sessuale scattate mentre una delle ragazze dormiva sul divano. Per queste immagini Corsiglia è stato assolto, ma resta condannato per violenza di gruppo.


Le richieste dell’accusa e le pene decise

Il pm aveva chiesto nove anni per tutti. Il collegio giudicante ha invece riconosciuto le attenuanti generiche, condannando Grillo, Capitta e Lauria a otto anni e Corsiglia a sei anni e mezzo. Prevista anche una provvisionale immediata: 10mila euro per le vittime da parte dei primi tre imputati, 5mila da Corsiglia.

I risarcimenti definitivi saranno stabiliti in sede civile.


Le difese: «Mai approfittato di nessuno»

Durante il processo, Ciro Grillo ha scelto di rilasciare dichiarazioni spontanee: «Nessuno di noi ha mai approfittato di qualcuno. Credo nella giustizia e continuerò a crederci».

Una linea difensiva ribadita dagli avvocati, che hanno annunciato ricorso in appello.


La reazione delle vittime e delle associazioni

Silvia, protetta da un paravento in aula, ha testimoniato per oltre cinque ore, raccontando non solo la violenza ma anche il crollo psicologico seguito a quella notte: «Non avevo più voglia di vivere».

Per le associazioni femministe, la sentenza rappresenta un segnale importante. «La violenza sessuale non è una bravata ma un reato gravissimo. Questa decisione restituisce forza e credibilità alla parola delle sopravvissute», ha dichiarato Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna.


Il peso politico e il video di Beppe Grillo

Il processo non è stato solo giudiziario ma anche mediatico e politico. Nel 2021, Beppe Grillo difese il figlio con un video che fece scalpore: «Se dovete arrestare mio figlio, arrestate anche me. Quelli non sono stupratori, sono ragazzi che si divertivano».

Un intervento che spaccò l’opinione pubblica e sollevò accuse di voler ridimensionare la gravità dei fatti. Le famiglie delle vittime reagirono duramente, parlando di “farsa ripugnante”.


Una vicenda che lascia il segno

Il verdetto di Tempio Pausania non chiude la vicenda: seguiranno gli appelli e la battaglia legale continuerà. Ma la sentenza segna un punto fermo, non solo per le vittime, ma per l’intero Paese.

Un processo che ha messo in gioco la credibilità della giustizia italiana, la forza della parola delle donne e il peso di un cognome ingombrante come quello dei Grillo.

Di Redazione

Giuseppe D’Alto: classe 1972, giornalista professionista dall’ottobre 2001. Ha iniziato, spinto dalla passione per lo sport, la gavetta con il quotidiano Cronache del Mezzogiorno dal 1995 e per oltre 20 anni è stato uno dei punti di riferimento del quotidiano salernitano che ha lasciato nel 2016.Nel mezzo tante collaborazioni con quotidiani e periodici nazionali e locali. Oltre il calcio e gli altri sport, ha seguito per diversi anni la cronaca giudiziaria e quella locale non disdegnando le vicende di spettacolo e tv.

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